Happy music for sad people: intervista ai The Neighbourhood

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I The Neighbourhood sono in tour dal 2012 quasi non stop con successo crescente ed ora sono approdati in Italia per la loro unica data italiana, a supporto del loro secondo album “Wiped Out!“. Un’esperienza che li ha fatti crescere come band e come persone. Noi li abbiamo intervistati prima del loro concerto all’Alcatraz di Milano.

Incontriamo Zachary Abels e Brandon Fried, rispettivamente chitarrista e batterista della giovane band losangelina, nei camerini del locale. Ci accolgono con un bel sorriso rilassato: quattro anni di concerti in giro per il mondo li hanno probabilmente abituati a gestire molto bene la tensione del pre-live.

Siete in tour da ormai quattro anni ed ora il vostro album “Wiped Out!” parla molto di crescita e di un addio al lato più spensierato e senza responsabilità di voi stessi (per esempio con brani come “R.I.P. To My Youth”). Come vi ha cambiato questo ultimo periodo e cosa invece vi aspettavate?

Sì, siamo in tour quasi non stop dal 2012 e naturalmente in questi quattro anni questa esperienza ci ha fatto crescere molto. Non sapevamo cosa aspettarci e quindi non avevamo nessuna aspettativa: cerchiamo soltanto di vivere la vita giorno per giorno e di mantenere una mente aperta, cercando di imparare da tutto ciò che ci capita. Nell’album parliamo di come ci si renda conto, crescendo, di avere delle responsabilità: ci sono delle persone che dipendono da noi, che lavorano con noi, quindi dobbiamo assicurarci di fare le cose per bene, perché altrimenti le nostre scelte ricadono sugli altri.

A proposito di “Wiped Out!”, Jesse ha detto che la sua intenzione era di creare un album di “happy music for sad peole” (musica allegra per persone tristi). Secondo voi cosa intendeva?

Beh, sai… tutti abbiamo dei momenti in cui ci sentiamo un po’ giù e quello che volevamo creare era un tipo di musica che ti faccia sentire meglio, semplicemente.

Parliamo della vostra scelta a proposito del bianco e nero: foto, artwork degli album, video, persino i vostri concerti, in qualche modo, attraverso luci e scenografia, sono in bianco e nero. Cosa dice di voi questa scelta?

Il bianco e nero ci aiuta a definire un mondo in cui immergerci, a definire dei limiti all’interno dei quali possiamo lavorare, diciamo che ci aiuta ad entrare nel giusto mood.

Questo è il vostro primo live in Italia: questa sera molti dei vostri fan vi vedranno dal vivo per la prima volta. Fuori dall’Alcatraz c’è già una lunga fila di ragazzi [per la verità soprattutto ragazze, n.d.r.]. Che tipo di show vedranno questa sera?

Il pubblico europeo è il migliore: apprezza di più la musica, è più attento. In America, tendono a dare tutto molto più per scontato, perché hanno più occasioni di vedere la stessa band. Ci prepariamo ai live con molta attenzione, cercando di ricreare il suono dell’album, perfezionando i suoni e scegliendo quelli giusti per offrire ai nostri fan una performance che rispecchi le loro aspettative.

La vostra musica è un mix di rock, R&B, hip hop e pop. Come vedete voi il futuro del rock? C’è ancora spazio per il rock duro e puro o il suo destino è quello di contaminarsi con altri generi per creare qualcosa di nuovo?

Ci sono molti mondi diversi nel rock: ci sono le super rock band di classic rock che sono ancora attive e molto seguite, come gli AC/DC o i Guns N’ Roses, ma d’altra parte il rock sta anche cambiando per diventare qualcosa di meno incasellato e di più difficile da descrivere. Il divario tra un genere e l’altro sta diventando sempre più sottile ed è sempre più difficile catalogare una musica come rock, hip hop, pop è solo… musica.

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