Il 27 Aprile è uscito l’ultimo album dei Gogol Bordello, ma tentare di fare un’analisi a un disco del genere sarebbe decisamente riduttivo, e non avrebbe nessuna possibilità di rendere l’idea di cosa sia una band proveniente dall’est europeo, che imbastardisce la sua musica con tutto il resto del mondo.
Quindi al posto di una scarna recensione su un disco che potreste fare anche voi, noi vi accompagniamo dove normalmente non è consentito, o magari dove non avete interesse ad entrare: vi raccontiamo una giornata (sarebbe meglio dire un pomeriggio e una serata) insieme ai Gogol Bordello. Ne vale la pena, fidatevi.
Incontriamo Eugene Hutz il pomeriggio, alle 3, per una tavola rotonda in Sony Music. Si fa attendere un po’, ma l’entrata, nella saletta predisposta per l’incontro, è degna di un cabarettista. Solita faccia da appena svegliato, coi capelli arruffati sulla testa, camicia azzurrina a maniche rimboccate e aperta fino a metà petto, e la chitarra a tracolla, come se fosse parte dell’abbigliamento, un gadget femminile come una borsa o qualcosa del genere. Saluta educatamente gli 8 giornalisti che compongono il tavolo e si predispone alle domande che prima vengono fatte timidamente, poi cominciano a fioccare.
La presenza di Rick Rubin in qualità di produttore è subito materia di attenzione per tutti, e c’è voglia di sapere come il “Re Mida” delle produzioni discografiche abbia collaborato con questa banda di disperati (o almeno così sembrano vedendoli per strada, nda).
“La collaborazione è nata un paio di anni fa grazie all’amico in comune Tom Morello, chitarrista dei Rage Against The Machine e attualmente in forza agli Audioslave, grazie al quale è potuta avvenire la conoscenza. Da una sincera amicizia è nata, solo successivamente, l’intenzione di voler avviare una collaborazione artistica che era partita con l’idea di produrre 3-4 pezzi al massimo, e si è conclusa con un album intero”. Rick è incredibile, ci dice Eugene, la sua non è solo competenza musicale, si tratta di una vera e propria “Intelligenza sonora”: “E’ l’uomo per noi! Questa è stata la prima cosa a cui ho pensato” ci racconta il signor Hutz con un’espressione davvero buffa: un bambino con gli occhi luccicanti.
Nel proseguire queste quattro chiacchiere il leader dei Gogol diventa anche un po’ polemico, non c’è l’ha con noi e ci ringrazia per la nostra presenza, ma ci confessa di come, di tutta una serie di sovrastrutture che sono state ritagliate intorno alla band stessa, non gliene freghi un bel niente. “A volte – dice quasi annoiato e buttando all’indietro occhi e braccia – siamo stati citati come la band dal nuovo look, con una ricerca stilistica ed estetica particolare. Sono un bel po’ di stronzate, non mi interessano queste cose, ma nonostante abbiamo sempre cercato di non di non avere una simile etichettatura c’è l’hanno comunque attaccata, mi sa che mi sono perso qualcosa nel passaggio, Lost in translation”.
Le domande si spostano poi sulla vita privata di Eugene, che, effettivamente, è la concreta anima dei Gogol, sulle sue frequentazioni decisamente invidiabili e su come tali amicizie abbiano di fatto influenzato la sua capacità compositiva.
Eugene ci racconta delle sue peregrinazioni all over the world, e in particolar modo del periodo trascorso a New York, durante il quale ebbe la possibilità di conoscere Manu Chao, Iggy pop e Joe Strummer. Ironizza sul fatto che già dalle scuole superiori era rimasto indelebilmente colpito dai Mano Negra e dai Clash, che sono tuttora il dittico che maggiormente ispira la ricerca artistica del gruppo. In particolar modo l’amicizia stretta con Manu è quella che più ha aiutato nel difficile compito di tracciare una strada, Manu diede loro la certezza che “That was the way”, senza altro aggiungere. “Dopo 10 anni di amicizia, quando decisi di trasferirmi in Brasile, Manu fu il primo contatto che avevo, la prima e unica persona che conoscevo, e questo indubbiamente non ha fatto altro che rafforzare il nostro legame”.
Si ritorna, metodicamente, sull’album e sulle sonorità che questo esprime. “È un album dalla forte evoluzione, una tappa più di approdo che non di passaggio. Suona molto Brasiliano come intenzione, perché è questo che ho sentito negli ultimi 2 anni, la mia musica non nasce in laboratorio; un goccio di punk, un pizzico di rock, no…”, e dicendo questo si nota una vena critica per chi oggi, ormai tanti, fanno della musica un calcolo algebrico: la musica lui la respira dalla strada, dalle persone che incontra e dalle vibrazioni che raccoglie nel luogo in cui si trova.
Ecco allora che assume un senso il titolo dell’album: “Trans-continental Hustle”, che diventa la sintesi di più esperienze musicali, diventa un contenitore dove Eugene mette tutto dentro, un grande zaino carico per il viaggio, pronto per essere portato in ogni fottuto angolo in cui ci sia bisogno di raccontare “cosa succede in città.”
Ulteriore luccichio che solletica le domande dei presenti riguarda la sua recente collaborazione con Madonna in qualità di attore. Sorride, come a dire che sì, lui lo ha fatto, ma era così per gioco tanto per distrarsi un attimo, la sua priorità rimane comunque la musica.
“Difficilissimo, in ogni caso. E poi parliamoci chiaro – ecco che arriva la sputtanata in diretta – Madonna non è che sia sto fior fiore di regista, sta li seduta e guarda. Sì mi piace oppure, no rifacciamo, ma senza una vera giustificazione. Così, a senso. In ogni caso mi sono divertito.”
Rimane sempre sorridente, sornione. Detta lui i tempi della discussione, prima questo poi quello, e se lo guardi dritto negli occhi si instaura subito un rapporto uno contro uno, esclusivo. Gli altri scompaiono, e vorresti rubargli tutto quello che ha visto e vissuto negli anni peregrini che lo portarono anche in Italia (seppur per breve tempo, ma non sufficientemente breve da evitargli un fermo in prigione per una notte). Se ha un pregio siamo certi sia quello di avere una storia da raccontare, e non dubitiamo sia interessante. E dunque cosa dire dell’Italia, di questo giornaliero massacro dell’informazione, piuttosto che della quotidiana cronaca politica che ci porta sulla bocca di mezza Europa ma non certo per meriti particolari, anzi semmai è il contrario?
Il tono di voce di Eugene rimane sempre costante, a parte in un paio di occasioni in cui canticchia, con piglio farsesco, la parte finale di una sua frase, e con un po’ di amarezza constata come almeno in Italia si parli di queste cose. In Russia, da dove viene lui, ci sono ben altri problemi e altro che libertà di stampa, a mala pena c’è la stampa. Ma allora, con attenzione alla capacità comunicativa della musica, si discute su quale potere abbia di modificare le cose realmente e non semplicemente posticiparle (come di recente accaduto in Turchia, dove il governo voleva radere al suolo le storiche porte di Bisanzio, l’ingresso dell’Impero Bizantino, per costruire un parcheggio. L’intervento durante un concerto dei Gogol fece ritardare l’evento di 6 mesi, dopodiché si andò avanti come era stato deciso).
“Già posticipare di 6 mesi un evento di tale portata non è poco, e poi io credo questo: anche il Dalai Lama sposta le coscienze con il solo uso della parola, la musica lavora nello stesso modo… quella buona!”.
Francesco Casati