Si intitola “Canzoni della Cupa”, il nuovo doppio album di Vinicio Capossela, uscito venerdì, a distanza di 5 anni dal precedente disco di inediti “Marinai, profeti e balene”. Anticipato dai singoli “Il Pumminale” e “La padrona mia”, già online assieme al bel video diretto da Sara Fgaier, il disco è frutto di un lungo processo di ricerca dal quale hanno preso corpo anche il libro, poi diventato film, “Il paese dei coppoloni”, ed è stato presentato alla stampa nell’affascinante cornice dell’Albergo Diurno Venezia, luogo di polvere e ombra nascosto sotto la superficie di Piazza Oberdan, abbandonato per anni e solo di recente riaperto al pubblico grazie alla convenzione per il recupero e la valorizzazione firmata dal FAI.
“Luogo popolare, sul quale le lancette dell’orologio si sono fermate, donandoci quest’esperienza di bellezza non dirompente, non invasiva, ma che ci fa comprendere che altri sono passati di qui e che c’è qualcosa sotto i nostri piedi, qualcosa che è proprio nato per porci al riparo del tempo, l’Albergo Diurno Venezia, non è molto dissimile dalle “Canzoni della Cupa”. Il giacimento in cui si è ramificato questo lavoro è quello che gli antropologi chiamano la cultura della terra. Una civiltà millenaria, che portiamo dentro e che riconosciamo per segnali, perché non abbiamo occasione di vivere e praticare, essendo cambiato il contesto e tutto quanto. A prestargli attenzione, però, questo patrimonio regala a noi, che ci entriamo da clandestini, un’esperienza di meraviglia, bellezza, ma anche di inquietudine”, ha spiegato Vinicio.
Ispirato dal folk “che conosciamo di più, come quello di Dylan, e dalla ricerca di una chiave di accesso per raccontare quella forma delle ballate in qualcosa che conoscevo più da vicino e che avesse una radice folklorica che mi appartiene”, “Canzoni della Cupa” si divide in due parti. C’è il lato della “Polvere”, nel primo disco, “il lato esposto al sole, che dissecca e asciuga al vento. Il lato della ristoccia riarsa, su cui il grano è stato mietuto. Il lato del lavoro costato quel grano, del sudore e dello sfruttamento di quel lavoro”. E c’è il lato in “Ombra”, quello del secondo disco, “il lato lunare, il lato dello sterpo e dei fantasmi, degli ululati e dei rovi, dei rami, che contro luna danno corpo a creature che si fanno vedere da uno solo alla volta per sfuggire alla classificazione zoologica. Il lato delle creature della Cupa, del pumminale, del cane mannaro, della bestia nel grano. Il lato dei mulattieri che rubano legna la notte, delle fughe d’amore e delle apparizioni”, ha raccontato Capossela.
Due mondi nei quali Vinicio si è addentrato tornando nella sua terra d’origine, l’Alta Irpinia, dapprima grazie al patrimonio folclorico custodito nell’opera del cantore di Apricena, Matteo Salvatore, “canzoni fatte chitarra e voce, nel dialetto locale, che un caro amico mi ha aiutato a tradurre, aprendomi tutto un patrimonio di storie, raccontate con grande efficacia, di soprusi, ingiustizia, di questo mondo del latifondo, in cui sopravvive tutta una serie di superstizioni, riti e storie, che affondando le loro radici ancora più indietro dell’epoca del fascismo. Poi ho iniziato a fare caso alla tradizione che ancora si praticava in Calitri della “cumversazione”, ossia la pratica di unire le voci e cantare tutto un repertorio stratificato di versi, i cosiddetti sonetti, accompagnati solitamente da un solo organetto, su cui si affastellano le voci e, nel corso di una serata di quatto o cinque ore di simposio, dove si beve, si mangia e ci si fonde insieme, si racconta e si rielabora tutta la storia della comunità”.
Un lungo percorso di immersione in una tradizione folclorica che ha dato i suoi primi frutti nel 2003 in Sardegna. La prima sessione di registrazioni, infatti, ebbe luogo “tra i tetti bassi e la natura ancora molto polverosa di Cabras che, un po’ come l’Alta Irpinia, richiama un certo paesaggio western e di frontiera”. Una session scarna, fatta di due violini, un cymabalom, un contrabbasso, chitarra e voce e che, lasciata nascosta, ha dato nel tempo origine ai 29 brani di questo lavoro registrato e prodotto da Capossela assieme a Taketo Gohara e Alessandro “Asso” Stefana. “Le canzoni lasciate a covare lì sotto si sono riprodotte e hanno dato origine ad altre canzoni che invece sono più autoriali, canzoni raccolte soprattutto nella parte chiamata “Ombra” e che hanno a che fare più col sacro, con l’etnoantropologia, per cui vi compaiono le creature della cupa, il pumminale, la bestia nel grano, tutti soggetti dove la cosiddetta civiltà della terra trova collegamento con archetipi più arcaici, che ci portano nel mondo del mito”, ha spiegato Vinicio a proposito della seconda sessione di registrazioni, avvenuta invece tra il 2014 e il 2015 “tra i vicoli del paese dell’Eco, al fuoco di fornacella, nel paese dell’origine”, col contributo di “tante voci e strumenti, che del canto della terra hanno esperienza”: Giovanna Marini, Enza Pagliara, Antonio Infantino, la banda della Posta, Francesco Loccisano, Giovannangelo De Gennaro, nonché dai più lontani Howe Gelb, Victor Herrero, Los Mariachi Mezcal, Labis Xilouris, Albert Mihai e tanti altri.
Due nuclei di registrazioni, che hanno trovato completamento oltreoceano nella frontiera tex mex di Flaco Jimenez, nel deserto di Tucson dei Calexico e negli ululati dei Los Lobos, che stracciano la notte tra Messico e California, il cui dualismo verrà esaltato ulteriormente nei live che partiranno da fine giugno. La prima leg del tour sarà, infatti, dedicata agli spazi aperti e al repertorio della “Polvere”, dove prevarranno “gli strumenti della rena, due trombe mariachi, due chitarre, due cupa cupa, due voci, cori, violini, insomma, siccome ci sono i campionati europei, saremo in undici sul palco, che però sarà un campo di spighe rasate”. In autunno, infine, partirà la tournée teatrale chiamata “Ombra”, in cui si privilegeranno “gli strumenti del diavolo, quindi il violino, la viella, le corde e il repertorio sarà più destinato alle illusioni, ai misteri e ai fraintendimenti, che sempre stanno tra le frasche intricate che generano l’ombra”.