Un festival a misura d’uomo, con una programmazione importante. In soldoni, è questo l’A Night Like This Festival di Chiaverano (TO). Se poi si aggiunge l’atmosfera famigliare, i prezzi contenuti di ingresso, birra, cibo (di ottima qualità, tra l’altro) e campeggio, nonché la possibilità di pucciarsi nell’adiacente lago Sirio, quella che si materializza è la fuga perfetta dalla città.
E noi s’è fuggiti, eccome, abbandonando l’asfittica Milano per il freschetto e le atmosfere lisergiche della prima giornata dell’A Night Like This, partito quest’anno già dal venerdì. La line-up, come accennato, è un concentrato di nomi davvero interessanti, tutti diversamente posizionati sulla direttrice rock-elettronica.
Sui tre palchi – due all’aperto e uno indoor – i set si avvicendano a ritmo serrato, forse anche troppo, costringendo il pubblico a scelte talvolta dolorose. La partenza è tutta italiana con il cantautorato di Brodo e del suo EP “Pezzi pt. 1”; il satanismo a buon mercato di CAZZURILLO, estrema, ma intrigante, sola sul palco tra sperimentazioni e casualità; il suono tra garage e power pop dei Litio, al secondo lavoro con “Catcher”.
E, ancora, le atmosfere tese dell’art rock venato di elettronica degli Younger and Better; l’alt rock dal sapore tutto italiano degli Est-Egò; le ambientazioni sognanti del rock degli WOW, da Roma con “Amore”, e quelle tra folk, pop ed elettronica dei Campos, trio nato sull’asse Pisa-Berlino, primo svolazzo oltralpe, assieme a Persian Pelican di Andrea Pulcini e all’alt folk tutto in inglese del suo ultimo “Sleeping Beauty”.
Il scivolare è morbido, dai loop lisergici di Sequoyah Tiger, alla trilogia agreste cimbro-britannica dei C+C=Maxigross ft. Miles Cooper Seaton, attraverso il live show dei Niagara, Hypergear, fino alle terre di levante con Grimm Grimm. Progetto solista del giapponese Koichi Yamanoha, frontman degli Screaming Tea Party, il set è un viaggio in un’altra galassia: dream pop increspato da qualche incursione psych-punk.
Sono le 21 circa e la gente è ancora poca, un vero peccato, perché sul main stage è il turno dei Syd Arthur. La band di Canterbury, composta dai tre fratelli Magill – Liam (voce e chitarra), Joel (basso e cori), Josh (batteria) – e Raven Bush (tastiere, violino, mandolino e, per la cronaca, nipote di sua maestà Kate Bush), mette in piedi un live a dir poco affascinante. I pezzi sono per lo più quelli del loro ultimo lavoro “Apricity”: “Coal Mine”, “No Peace”, “Sun Rays”, “Into Eternity” e la title track. Chi ha orecchie per intendere, gode: la formazione sul palco, ad oggi, è un miracolo di gusto e abilità, raffinatissimo trait d’union fra la tradizione prog e il più moderno art rock targati UK.
Prima di tornare sul palco centrale, è il momento dell’onda fredda dei The KVB. Il post punk del duo britannico, uscito a maggio con l’EP “Fixation/White Walls”, per lo spazio di una mezzora fredda gli animi del pubblico di Chiaverano. È la calma (apparente, perché sotto la superficie scorre lava incandescente) prima della tempesta di fuoco, che di lì a poco incendierà il main stage.
Sempre dalla terra di Albione arrivano i The Wave Picture, trio, uscito nel 2016 con “Bamboo Diner In The Rain”, con un debole per blues, southern rock e garage, rigorosamente ’65-’67. Set divertente, anche se fin troppo molle, stando alle premesse. Un calo di tensione, che nel peggiore dei casi s’affronta andandosi a scrofanare una qualche delizia offerta dai numerosi food truck schierati a bordo campo.
Si gironzola, mentre scende la notte. Sono le 23.30 quando, davanti a una rappresentanza di cinque o sei accaniti, Lindsey Troy (voce e chitarra) e Julie Edwards (batteria e cori) fanno il loro ingresso, alla chetichella, sul palco. Un cenno di saluto e poi un fiume in piena di rock’n’roll. La scaletta, una decina di pezzi in tutto, si divide abbastanza equamente tra il disco d’esordio, “Sistrionix”, e il nuovo, eccezionale “Femejism”, un disco ricchissimo che unisce al blues e all’hard rock del debutto, suggestioni punk, funk, grunge e un tocco di sfacciata psichedelia.
“Heart Is An Animal”, in apertura, e l’ammaliante canto di sirene, con cui le Deap Vally, trascinano il pubblico (fattosi numeroso dopo le prime note) in mare aperto. È lì che, annunciata dal ticchettio di “Raw Material”, si scatena la tempesta di “Bad For My Body”, “Little Baby Beauty Queen” e “Make My Own Money”, offrendo una breve ed illusoria tregua solo su “Smile More”, chiave di volta di un set ruvido, potente e suonato con la debita ruzza. “Baby I Call Hell”, uno dei pezzi più incisivi del primo disco in materia di riff, “Julian” e “End Of The World” sono tre schiaffoni in faccia prima di “Grunge Bond”, pezzaccio dal riff sinuoso e dalla ritmica funkeggiante, ultima chicca prima della chiusura affidata alla gloriosa sensualità di “Royal Jelly”.
A Night Like This Festival, au revoire!