Potete trovare tutte le scuse che volete, ma Al Di Meola proprio non mi convince. D’accordo, sarà anche per il batterista assente, disperso in qualche aereoporto a causa dell’eruzione del vulcano islandese. Sarà che il buon Al (New Jersey, 1954) si è dovuto sorbire svariati sballottamenti nel viaggio dagli States e forse era un po’ fuori forma. D’accordo su tutto. Ma a me Di Meola, cari lettori, proprio non convince.
E’ veloce. Ma definirlo ‘un virtuoso dalla tecnica impeccabile’ significa non averne mai ascoltato uno (solo a titolo di esempio, e restando nel mondo del flamenco, Tomatito).
Le sue dita schizzano velocissime ma il suono lascia molto a desiderare. E lo si è visto anche questa sera, quando nei primi venti minuti si è esibito da solo. Molte frasi sono atterrate sulla nota sbagliata. Molte volte la dinamica era fuori controllo. Molte volte la corda era mal stoppata e vibrava sul tasto in modo imbarazzante.
Poi con la band (tutti ottimi musicisti, in particolare Fausto Beccalossi alla fisarmonica) queste imperfezioni sono state un po’ nascoste dal suono globale ed è rimasta questa ebbrezza della velocità unita, questo dobbiamo ammetterlo, ad una buona esecuzione dei passaggi obbligati e degli stop.
Ma anche qui c’è da discutere di certi effetti (una sorta di delay-riverbero) che conferivano alla chitarra acustica di Al quel tipico suono da balera di periferia.
Che volete che vi dica, alla fine i brani erano piacevoli anche se finivano per somigliarsi un po’ tutti e a tratti certe cadute di stile…
…ovvero se voglio ascoltare la rumba gitana (ottima come base per esercizi aerobici in palestra) vado a vedere i Gipsy King, o sbaglio?
Una considerazione filosofica finale: se avessi la fama, la bravura e la tecnica di Di Meola mi dedicherei ad affinare, a limare, a lavorare di cesello.
Ma forse è tutta invidia, la mia. Come diceva Asimov: i critici sono come gli eunuchi nell’harem. Pieni di belle donne da giudicare ma… in quanto ad altro… nulla da fare.
Marco Lorenzo Faustini