Si potrebbe scrivere un libro sulla psicologia di Myles Kennedy. Talento sconfinato, tecnicamente uno dei migliori di sempre ma così fragile. Te ne accorgi quei pochi momenti in cui non ti abbaglia con le sue immense doti di cantante e chitarrista, quando è costretto a fare il suo lavoro di frontman e riempire i vuoti tra una canzone e l’altra, le distanze tra il pubblico e la band. La sua timidezza piace ai fan ma è stata troppo spesso di impiccio in una carriera che ha trovato meno riconoscimenti di quanto merita.
Senza Mark Tremonti e Slash ora sarebbe a Spokane a insegnare canto ai ragazzi, se non addirittura perso in qualche vortice nero che tanti come lui ha portato via. Slash in particolare lo ha aiutato a venir fuori dal suo guscio trasformandolo in un animale da palco, togliendogli la barriera ideale della chitarra e costringendolo a usare solo la sua voce e la sua presenza per guidare uno spettacolo pirotecnico e scanzonato come quelli del chitarrista dei Guns. Ma anche lì la sua voce esile e la sua gestualità repressa non lo hanno inserito nella Hall of Fame dei grandi frontman della storia del rock.
L’altro grande deus ex machina della carriera di Myles era ieri sera al suo fianco per l’ennesimo concerto degli Alter Bridge che in questi dieci anni hanno tenuto l’artista costantemente impegnato. Album e tour di Alter Bridge frammezzati agli album e tour degli Slash feat. Myles Kennedy and The Conspirators hanno lasciato al cantante statunitense solo pochi mesi di vacanza qua e là in una fase della carriera in cui pare dover recuperare tardivamente gli anni perduti in giovinezza, quando i sopracitati limiti di personalità ne hanno bloccato l’esplosione, pur alla guida di progetti eccezionali come quelli dei The Mayfield Four (non mi stancherò mai di consigliare l’ascolto dei due album esistenti “Fallout” e “Second Skin”).
Ieri in particolare gli Alter hanno mostrato tutta la stanchezza di un tour arrivato alla fine, già la seconda tranche del giro di mondo promozionale per “The Last Hero”. Il Fabrique non doveva essere la location designata per ospitarli, ma il concerto è stato spostato dall’Ippodromo garantendo ai presenti aria condizionata, non male in una giornata che ha visto la colonnina segnare 35 gradi, e alla band un colpo d’occhio sicuramente migliore con il paio di migliaia di paganti che hanno riempito il locale. Niente zanzare e niente buchi sotto palco, il concerto inizia alle nove spaccate e fugge come un missile per un’ora e mezza, quasi che i Nostri avessero chissà quale impegno improrogabile e avessero fretta di concludere.
Intendiamoci, gli Alter Bridge sono una band che anche con il pilota automatico garantisce nella peggiore delle giornate una performance di livello superiore, e ieri dal punto di vista della resa non ho nulla da criticare, come sempre. La fretta si percepiva nei cambi chitarra, nelle pause tra un brano e l’altro, una premura ingiustificata che ha reso lo show un blocco unico senza possibilità di assimilare i pezzi che si sono susseguiti l’uno con l’altro come una mitraglia.
Quasi a sorpresa dopo solo un’ora ho sentito le note beatlesiane di “Blackbird“, citazione preludio alla gigantesca canzone dall’omonimo album del 2007. Due parole su questo pezzo ormai irrinunciabile nelle loro scalette. Usato come tributo per la dipartita di Chris Cornell durante il concerto solo un giorno dopo la sua morte, è un brano che vive ormai di vita propria, produce esso stesso l’energia che sprigiona nei suoi quasi sette minuti autoalimentandosi e aumentando esponenzialmente il livello emotivo e tecnico dei concerti. Musicalmente un granitico macigno di chitarre, doppio assolo Tremonti/Kennedy entrambi perfetti con un equilibrio tra tecnica e melodia dall’alchimia irripetibile, melodie vocali che veleggiano tra il drammatico e la potenza metal.
Mark Tremonti, il vero motore pulsante della band sprigiona la solita potenza e i soliti cavalli. Ne sono passati di anni dal quel “One Day Remains” del 2004 quando decise di accantonare i Creed per un progetto più vero e diretto, che avesse una credibilità live e che avesse un nome all’interno della giungla discografica rappresentata dall’alternative metal. Da allora Myles Kennedy ha allargato la sua influenza all’interno del gruppo sia nel songwriting che negli spazi in assoli e riff. Tremonti, imponente in tutto dalla personalità alla stazza puramente fisica, non dà mai segni di cedimento. Se come è parso in generale la formazione sta passando una fase di stanca, lui non lo dà a vedere nella maniera più assoluta. Sempre brutale, sembra sparare i riff con le dita e con ogni altro elemento del suo corpo, una furia incredibile che non vediamo l’ora di rivedere nella sua dimensione più egocentrica, quella Tremonti band in fase di scrittura del nuovo album.
Scott Phillips e Brian Marshall garantiscono la solita efficacia nell’impianto ritmico, potente e preciso. Pare addirittura che Phillips stia affinando la sua tecnica con il passare degli anni e se volete sentirlo al di fuori degli Alter segnalo il suo side project “The Projected” (che fantasia). Brian suona il basso in maniera a mio parere unica e mai banale, un professionista snobbato dal mondo del rock, ma che ha un suono determinante e riconoscibile e vi consiglio di andare a rispolverare le sue linee di basso in quel capolavoro alternative di “Human Clay” dei Creed datato 1999.
Il set non dà sorprese, e questo è uno dei grandi limiti della band che ai tempi di “Blackbird” sembra essere arrivata al livello più alto possibile, ha preso una capocciata sul soffitto e sta tornando giù con il bernoccolo. A parte un’intensa “This Side Of Fate” solo qualche taglio rispetto alla scaletta proposta a Bologna nella scorsa data del The Last Hero tour qui in Italia.
Tutto nella norma e ultra omologato, dalla potente “Metalingus” (niente assolo di Phillips però, vi ricordo che si andava di fretta) con botta e risposta centrale Myles/pubblico a suon di scale vocali, i cori irresistibili suggeriti dal classicone “Open Your Eyes”. Alcuni momenti di muro metallico con “Farther Than The Sun”, “Ties That Bind” e “Cry Of Achilles” e l’usuale momento acustico solo Myles e chitarra con “Watch Over You”. Vorrei menzionare uno dei miei momenti preferiti con l’esecuzione di “Water Rising”, uno dei due episodi della discografia (con “Words Darker Than Their Wings” provata in soundcheck ma non inserita in scaletta) in cui ci sono due lead vocals, sia di Myles che di Tremonti, che danno ai pezzi un maggior respiro e un’attitudine sabbathiana veramente gradevole e a mio parere una strada percorribilissima per sviluppare un sound di un gruppo che pare aver esplorato tutto il conquistabile.
Nel complesso un set onesto ma la cui fretta nell’esecuzione ha suggerito un compitino da ‘dai che è quasi finita’ che mi rende pensieroso per il futuro della band (il prossimo appuntamento discografico è un live con accompagnamento orchestrale che sa tanto di ultimo capitolo, non tutti sono i Metallica) e mi preoccupa tanto la situazione di Myles Kennedy. È arrivato il momento in cui i nodi vengono al pettine della release del suo mitologico album solista. Non ha più scuse, non ha più il pavimento sotto i piedi. Gli Alter si fermano e per la prima volta in tanti anni non c’è più Slash a tenerlo occupato con album e tour. Lui ha i Guns, la reunion più remunerativa della storia. Tremonti ha il suo progetto. Ora deve fare quella cosa in cui già una volta ha fallito e lo ha quasi distrutto, reggersi con le proprie gambe. Sorge il dubbio che non lo abbia ancora fatto per paura del vuoto e c’è da capirlo. Nel nostro piccolo possiamo solo dirgli che lo sosterremo sempre e comunque e che non vediamo l’ora di ascoltare ogni singola nota prodotta. Forza Myles!
La scaletta del concerto degli Alter Bridge a Milano
Come to Life
The Writing on the Wall
Farther Than the Sun
Addicted to Pain
Ghost of Days Gone By
Cry of Achilles
My Champion
Ties That Bind
Waters Rising
Watch Over You
Isolation
Blackbird
Open Your Eyes
Metalingus
Encore:
This Side of Fate
Show Me a Leader
Dueling Guitar Solos – Mark and Myles
Rise Today