All’arrivo troviamo un Alpheus bello pieno, nonostante l’orario da festa del liceo. Sono più o meno le 20.30 quando i francesi Demian iniziano il loro show. Il prog del terzetto non è male, con quelle parti soft pop avvinghiate a momenti pestati e rumorosissimi, fatto di contrasti e momenti di sottile psichedelia.
L’esibizione scorre piacevolmente, il pubblico sembra apprezzare. Certo, manca più che qualcosa dal punto di vista del puro intrattenimento, complice un gruppo abbastanza imbullonato per terra e un palco che non è che permetta troppi movimenti. Comunque promossi.
Gli Anathema salgono sul palco verso le 21.30. È subito chiaro che credere alla leggenda che un loro concerto possa essere noioso è da deficienti a oltranza. Le ultime volte li avevamo visti di giorno, con magliette della nazionale italiana addosso e ora ce li ritroviamo eleganti, carichi a mille e su un palco molto poco illuminato.
Hard Rock e Pink Floyd, questa è la formula per brani ispirati, carichi di pathos, intensi e che ti vivono dentro. Dal vivo sono riproposti con un’incredibile energia, senza lesinare nel rapporto col pubblico che pian piano è sempre più caldo e partecipa tanto da sorprendere la band stessa. C’è di che essere orgogliosi quando, dopo una spettacolare versione acustica di “One Last Goodbye”, un colpito Danny Cavanagh dichiara: “Ho eseguito questa canzone migliaia di volte, ma questa è stata la più emozionante di tutte”. Così per tutto il concerto, fino a quando i nostri non salutano tutti con l’immancabile e perfetta “Confortably Numb”.
Futile una lista dei brani suonati, sapere che sono state eseguite “Far Away”, “Panic”, “Lost Control” o “Hope” non aggiunge nulla alle sensazioni magnifiche provate da chi c’era né può aiutare gli assenti a comprendere la potenza emotiva in un’esibizione degli Anathema. La prossima volta cercate di esserci.
Stefano Di Noi