Apolide 2016 arriva a fine luglio (dal 28 al 31), quel periodo in cui generalmente sto cercando di resistere con le unghie e con i denti fino a quei primi giorni di agosto in cui sarò finalmente libera. La prospettiva di una mini-vacanza, quattro giorni di stacco totale, mi fa venire l’acquolina in bocca, preparo lo zaino con foga cercando di non dimenticare nulla e parto alla volta di Vialfrè, a 50 minuti da Torino. Se il cuore palpitava forte già in macchina, davanti all’Area Naturalistica di Pianezze non può che ricevere la stoccata finale: verde a perdita d’occhio, prati, alberi, un luogo che sembra essere fuori dal mondo.
Mi inoltro nel verde alla scoperta dell’area del Festival. Tre sono i palchi di Apolide: oltre al Main Stage che ospita i concerti serali più grandi, trovo la struttura geodetica del Boobs Stage, palcoscenico di live acustici e non, reading e performance, e il Soundwood Stage, casa base della programmazione elettronica del Festival.
Mi perdo tra una birretta e l’altra in mezzo ai profumi dell’area food, organizzata per accontentare onnivori, carnivori e vegetariani.
Non ci si sente mai soli ad Apolide e le cose da fare non mancano: durante tutta la giornata l’area è animata da attività sportive, laboratori per i più piccoli, si può pascolare pigramente da una bancarella all’altra o sedersi a guardare gli altri che faticano sulla slackline.
I dj del Soundwood Stage si alternano dal mattino alla sera mentre sul Boobs Stage i concerti iniziano dal mattino fino a sovrapporsi alla programmazione del Main Stage. Il Boobs Stage accompagna il risveglio degli apolidi con live come quelli di Paolo Spaccamonti, Didie Caria e Cecilia e ne scandisce i pomeriggi con interviste e reading, da Giuseppe Culicchia a Alessandro Baronciani e Giordano Meacci, candidato al Premio Strega 2016.
Il giovedì di Apolide parte deciso sul Main Stage con Calcutta e Aucan headliner; parte ma non decolla. È invece il venerdì a dare una svolta energica ai concerti del palco principale con Cosmo e Jain punte di diamante della serata. Con Cosmo è subito festa: l’eporediese incalza il pubblico tra stage diving e passaggi di microfono alle prime file, ma la protagonista assoluta del venerdì sera resta Jain. Questa minuta francese tiene il palco con un’energia e un’empatia per cui non farsi coinvolgere è impossibile, da pelle d’oca, sembra che tutto il pubblico di Apolide sia concentrato sotto il Main Stage. Il sabato sera chiude definitivamente i live del Main Stage con IOSONOUNCANE, Il Teatro degli Orrori e Andy Butler, ma la rivelazione di quest’ultima serata sono gli Heymoonshaker, duo inglese chitarra e beatbox ad un livello di bravura impressionante, lasciano tutti a bocca aperta. La musica si ferma quando il pubblico è ancora infervorato sotto il palco: tocca trasferire la festa in campeggio, un peccato per la serata conclusiva.
Parallelamente al Main Stage continuano i live del Boobs Stage: il palco “secondario” di Apolide inizia ad assumere un ruolo sempre più importante all’interno del Festival allineandolo secondo lo stile dei maggiori festival europei in cui il pubblico viene distribuito tra palchi di diversa grandezza e programmazione. Il rock nelle sue sfumature è il protagonista della programmazione serale del Boobs Stage unito a djset che spaziano dal reggae al soul.
Il Festival chiude alle 18 di domenica pomeriggio e le attività continuano fino alla fine: tornare in città lascia straniti, ho passato quattro giorni lontana dai ritmi frenetici di Torino, ho scambiato sorrisi e chiacchiere con gente che, come me, si era lasciata alle spalle e aveva dimenticato la propria routine quotidiana per immergersi nel verde di Vialfrè contribuendo all’atmosfera rilassata che pervade Apolide. L’Area Naturalistica di Pianezze sembra essere stata la spinta per la crescita che Apolide sta vivendo e davanti alla quale molti hanno storto il naso: questa tredicesima edizione del Festival piemontese è stata una scommessa da vari punti di vista ma Apolide ha scommesso e ha vinto. Lo raccontano le mani alzate del pubblico di Jain e gli sguardi basiti davanti al magistrale beatbox degli Heymoonshaker. Lo raccontano tutte le voci che hanno cantato a squarciagola con Cosmo e chi ha ballato fino alle tre del mattino con i djset finali. Soprattutto lo raccontano i volti sorridenti di tutti i partecipanti al Festival.
Fotografie a cura di Diego Dentale, Vincenzo Lerose e Gabriele Ferrari