Arcane Roots, le foto e il report del concerto a Bologna del 10 ottobre 2015

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Gli Arcane Roots non sono il tipo di band che ti incuriosisce; sono un gruppo che ti cattura. Si capisce sin dalla traccia numero 1 del loro primo full length, “Blood & Chemistry”, e si capisce dal momento in cui salgono sul palco a suonare per un concerto. E così anche al FreakOut! di Bologna il 10 ottobre 2015, nonostante il caldo e le luci troppo accecanti per una venue tanto ridotta, basta l’attacco di “Second Breath” per sapere con inequivocabile certezza che il live dei tre ragazzi del Surrey sarà uno di quelli che resterà nella memoria (e farà fischiare le orecchie) dei presenti per lungo tempo.

Con il set di apertura degli ottimi Dealma, che riescono a creare un momento topico alla fine della loro apprezzatissima seppur breve esibizione dando fuoco a una chitarra, e quello del secondo opening act, i torinesi Be The Wolf, anche loro autori di una performance che non lascia assolutamente indifferenti, la formula risulta vincente e letale. Combinare tre band tanto potenti in un’unica line up è come far cadere le menthos nella coca: un gioco dagli esiti esplosivi e spettacolari che potrebbe addirittura fare male.

Quando il locale è carico al punto giusto, arrivano gli Arcane Roots, band relativamente giovane, con un mini-album e un solo full length all’attivo, che ha però tutti i canoni per raggiungere le arene e gli stadi che il gruppo ha sempre sognato, e che fino ad ora ha accarezzato in qualità di supporter dei Muse. Non è un caso che lo stesso Matt Bellamy sia rimasto invischiato nella musica del trio, una armonia costante tra parti heavy e melodiche, che si rispecchia nel dinamismo dei loro live. E così la folla si ritrova facilmente rapita in questa marea che avanza e regredisce rapidamente, restando talvolta tacitamente assorta – come nelle lievi intro strumentali di Groves – e poi risucchiata in un vortice. E se all’inizio si cerca di aggrapparsi e fare resistenza, “Energy Is Never Lost, Just Redirected” è il punto di non ritorno dove si scardinano le inibizioni e ci lascia risucchiare definitivamente.

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Se da un lato del palco c’è il bassista Adam Burton che mostra la sua perizia al basso, a fargli da contrasto nell’altro angolo si trova Andrew Groves, leader del gruppo che rientra nelle fila della tradizione rock del chitarrista che voleva stare in disparte piegato sul suo strumento, magari snocciolando i suoi riff articolati, e ha dovuto invece fare un passo avanti e ritrovarsi alla voce. E accettata l’idea di essere frontman oltre che semplice musicista, Groves dimostra di star entrando perfettamente nel ruolo: ad un evidente lavoro sulla voce, che risalta ulteriormente in qualità soprattutto nelle parti melodiche, il musicista inglese ha affiancato i ghigni del mestiere, imparando a sfondando il primo muro di timidezza per imperare sul palco e prendersi il dovuto spazio al centro della scena. Certo, è ancora lontano dal comandare grandi folle con il gesto di una mano ma d’altro canto, la sua band non è succube di una fama esplosa all’improvviso e può permettersi il suo spazio di crescita.

Mentre il gruppo sgancia alcune granate già ascoltate nei tour precedenti come “Sacred Shapes”, “Resolve” e “Hell & High Water”, sembra avere anche già le idee ben chiare sulla direzione da seguire per il futuro: “Leaving”, “Slow Dance” e “If Nothing Breaks, Nothing Moves”, nuovi brani eseguiti live e contenuti nell’EP “Heaven & Earth” in uscita la prossima settimana, rendono bene l’idea della forza anthemica che Groves riesce a conferire ai suoi pezzi, con breakdown da fare invidia a colleghi ben più navigati. Il muro di suono massiccio si schianta con l’entusiasmo altrettanto eclatante del pubblico, al punto da lasciare la band stessa stupita in più di un frangente.

Una nota di merito a parte va al batterista Jack Wrench, già membro degli In Dynamics e prestatosi agli Arcane per questo tour dopo l’uscita di scena di Daryl Atkins. Il giovane ventiduenne ha classe da vendere dietro le pelli, una grande chimica con il gruppo nonostante il breve rodaggio ed incarna alla perfezione la gioia di star facendo quello che più si ama e di starlo facendo bene, suonare. Ed è anche questa la forza trainante che fa filare tutto a meraviglia sia sopra che sotto il palco.

Se dovessimo seguire l’accostamento costante tra gli Arcane Roots e i Biffy Clyro, spesso chiamati in causa dagli stessi Roots, verrebbe da dire che i primi stanno rimarcando il percorso già tracciato dai secondi, ma nella metà del tempo. E se così fosse e gli Arcane Roots dovessero davvero arrivare dove i tre scozzesi sono oggi, sarà a maggior ragione una fortuna poter dire di averli visti quando erano solo loro tre in una stanza, il pubblico ad un palmo, tanta energia e sudore, e la musica soltanto.

Fotografie a cura di Mathias Marchioni

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