Be Forest, il report del concerto di Roma del 18 aprile 2014

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Venerdì santo con la giusta atmosfera a Le Mura di Roma: sul palco una delle new wave band italiane più acclamate da pubblico e critica, i Be Forest. Il concerto dei pesaresi è introdotto dalla performance di un eclettico giovine romano: Pietro Paoletti, in arte Sequen_Ce. Fin da subito la serata palesa un suo target, soprattutto nel pubblico, che è giovanissimo. Non solo: anche l’età degli artisti in cartello è veramente acerba – lo stesso però non si può dire dei loro progetti artistici.

Come anticipato, ad aprire le danze c’è Sequen_Ce: dietro la sua piccola ma attrezzata consolle il ragazzo si destreggia tra chitarra, synth, loops, programmazioni ritmiche e voce; mica male. Molte le influenze raccolte nel suo progetto, essenzialmente elettronico: frammenti di Trip-Hop, tendenze al post-rock dei Sigur Ros, vaghe reminiscenze dei Radiohead più glaciali soprattutto. A dominare è la sezione ritmica, vera padrona della scena: su questa fitta trama si staglia un paesaggio sonoro essenzialmente elettronico e cristallino, dove si alzano le nebbie della chitarra Fender arpeggiata, la modulazione sintetica e le melodie vocali, molto ricercate, sempre al limite del lecito e dunque poco banali. Il progetto, sebbene non risalti per originalità, è comunque ambizioso, e soprattutto in quei suoni percussivi così reali e perturbanti trova una sua ragion d’essere. Abbiamo tuttavia registrato, in sala, diversi momenti di vuoto caratteriale, in cui potrei dire di aver individuato imprecisioni, o veri e propri errori e dimenticanze. Mi chiedo inoltre cosa accadrebbe se la voce fosse ulteriormente liquefatta in filtri e loops, come è avvenuto nei brani finali: perché malgrado Sequen_Ce abbia una timbro vocale piacevole, nella sua essenziale naturalezza sembra estranea, a tratti, dall’ambientazione sonora. In fondo, da un artista giovanissimo e in piena fase di crescita, che qualche interesse lo ha suscitato, possiamo anche aspettarci qualche indecisione esecutiva. Col tempo, chissà, riuscirà magari a strapparci apprezzamenti a tutto tondo.
Il pubblico, d’altronde, ha risposto positivamente, pur essendo lì per gli headliner Be Forest, che non tardano ad occupare il palco. L’atmosfera raggiunge immediatamente il livello ricercato, piuttosto alto, che verrà mantenuto invariato per tutto il corso del concerto – eccezion fatta per un imprevisto blackout elettrico che ha certo destato imbarazzo, ma ha anche involontariamente inciso sulla dinamica piuttosto piatta dello show. I Be Forest suonano dal vivo come li ascoltiamo su disco: precisi, decisi, poco loquaci, molto concreti. Danno vita ad uno show che scorre senza spigolose curve o inquieti rivoli, sospeso in continuo fluttuare grazie ad una ritmica minimale e ben strutturata che induce senza riserve a quei movimenti ondulatori tipici della new wave. Synth e chitarre assolutamente riverberate, assieme alle melodiose voci femminili, ricreano quel magico e un po’ fatato mondo dark che oggi è tornato in voga grazie anche a band come Esben and the Witch, forse il riferimento principale per la band pesarese. La scaletta ha attinto molto dall’ultimo convincente lavoro, “Earthbeat”, i cui brani sono stati i più acclamati dal pubblico: “Totem”, ad esempio, ma anche “Colours”, “Lost Boy”, “Captured Heart” e “Ghost Dance”. Questo secondo disco ha bei pezzi, è già maturo, ben prodotto e giustamente verrà promosso con un tour che vedrà i Be Forest in giro un po’ per tutta l’Europa. Livello alto, ma privo di picchi. I brividi ci sono, e nella loro persistenza perdono man mano di efficacia. Semplicità e freddezza: questa è d’altronde l’estetica voluta dalla band, poco artefatta e molto sincera, sicché possiamo dire che l’effetto ricercato è stato facilmente ottenuto, con i suoi pro e i suoi contro. La coerenza c’è ed è stata confermata anche nel mancato gioco dei bis.

Il pubblico ha accolto al meglio la band: basti l’immagine di una sala gremita. I complimenti vanno allora anche allo staff di Radio Live Trasmission, che ha organizzato la serata assieme alle Mura. Un unico insostenibile dubbio: perché proporre, per il post-serata, un DJ di musica etnica latina dai gusti non troppo raffinati? Davvero, perché?

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