Ben Harper e Charlie Musselwhite, il report del concerto di Milano del 23 aprile 2018

Un album che ci era piaciuto e molto “No Mercy In This Land”, ruvido e diretto come solo il linguaggio del blues sa essere. Mai avremmo immaginato però che quelle canzoni nascondessero un potenziale così alto ancora da mostrare. E’ esploso in tutta la sua energia ieri al Fabrique, una carica inaspettata che ha dato ampio respiro ad un progetto nato come una complice unione di storia e di stile musicale, quella tra il nostro Ben Harper e Charlie Musselwhite, vispo settantaquattrenne che pare un tutt’uno con il suo strumento, l’armonica a bocca.

I due hanno un affiatamento strabordante, lampante. Sembrano due complici di un malaffare, di uno scherzo ai limiti dell’osceno, due criminali nobili che condividono un segreto. Si guardano e si cercano in continuazione su quel palco, fraseggiano e si completano a vicenda. L’armonica di Charlie prende in braccio i riff di chitarra e la voce di Ben e la innalzano verso quel rombante fiume in piena che è lo stile blues.

“When I go” è la prima canzone di “No Mercy In This Land” e già sull’album sorprende per la sua aggressività contrastante con l’immagine da salotto che abbiamo della coppia di musicisti. L’idea di un patio in qualche paese di frontiera sul quale siamo invitati per assistere al loro modo di concepire la musica, uno scorrere che non ha un vero inizio e una fine, una corrente che esiste sopra di noi e degli stessi Harper e Musselwhite, un corso di energia che puoi solo afferrare e cavalcare fino a che la tua partecipazione a questo mondo te lo consente, fino a che reggono i tuoi muscoli, fino a che regge la tua voce. Così “When I Go” esplode lasciando al rock più che al blues il compito di rompere gli indugi, la spinta necessaria ad innalzarci a cavalcioni sul quel destriero che non si ferma ad aspettare nessuno.

Si mette subito in chiaro la faccenda con il pubblico con i successivi pezzi. Non è concesso nulla alla discografia di Ben Harper in nessuna delle sue molteplici forme. E’ la serata del duo Harper/ Musselwhite ed è dai loro due album che prende la set list della serata, da “Get Up!” del 2013 e “No Mercy In This Land” uscito in questo 2018.

“The Blues Overtook Me” è il manifesto della musica che i due vogliono far conoscere a tutto il mondo. Non il blues che emerge sporadicamente in altri stili e forme ma quello puro, quello che ha fatto la storia delle origini umili, del popolo, degli oppressi. Il blues che usa un linguaggio colloquiale ai limiti del sacrilego, che affronta i temi che facevano arrossire i ben pensanti, i temi che definivano gli uomini e le donne di tempi che possiamo ora solo vedere da lontano. Musselwhite si alza in piedi e approccia il microfono oltre che l’armonica con quel piglio diretto e senza fronzoli, parlando di donne, automobili e altre croci e delizie dell’animo maschile. Il pubblico reagisce come sempre le persone fanno al cospetto del blues. Si lasciano andare, abbandonano ogni resistenza al ritmo e alle note e cominciano a dimenarsi, cantare, battere le mani e sorridere ai gesti dei due musicisti che sembrano due marpioni con molti assi nelle maniche.

Canzoni indemoniate come “Bad Habit” e “Movin’ On” e “The Bottle WIns Again” ti sollevano da terra e bruciare i palmi delle mani a furia di batterle, ma il blues sa anche entrare in profondità e sciogliere i nervi, fermare il tempo, e regalare momenti di rara intensità come nella fenomenale “Nothing At All” suonata al piano da Ben e dalla ballata stupenda “When Love Is Not Enough”. Il blues affronta anche il sociale, i problemi, pochi altri generi hanno una tale capacità catartica delle magagne umane. Così Ben introduce la bomba dedicata a e parte con una “I Don’t Believe a Word You Say” al tritolo e siamo sicuri che da qualche parte al di là dell’oceano qualcuno ha avuto qualche crampo, qualche lieve esitazione, un fischio all’orecchio che ha inceppato qualche bugia, qualche poco saggia decisione.

Questo è il potere di un genere che attraverso la sua interpretazione ci ha avvicinato un po’ di più al valore assoluto della musica, al suo potere lenitivo che è poi il motivo della sua esistenza che accompagna l’uomo praticamente dai primi passi. Una lezione di arte e di spirito da due fuoriclasse che nonostante appartengano a due generazioni diverse condividono la medesima magia pura e pulita, con la certezza che così come li abbiamo visti a Milano potremmo vederli nella camera di casa nostra con la stessa identica energia e passione.