Ci sono concerti che danno emozioni già prima di avvenire, dal momento esatto in cui vengono annunciati: uno show aperto da Robert Plant e concluso da Ben Harper rientra di certo tra questi e il sold out annunciato da tempo rende bene l’idea dell’attesa per uno degli eventi della stagione concertistica estiva. All’esterno i bagarini sono in fibrillazione fin dalle prime ore del mattino, con prezzi triplicati rispetto a quelli di partenza e quando, intorno alle 20, l’ex singer dei Led Zeppelin sale sul palco è praticamente impossibile trovare un biglietto a meno di centotrenta euro.
Dall’ultimo concerto di Plant in Italia di acqua sotto i ponti ne è passata: era il 2006, il Dirigibile non era ancora tornato a volare ed il futuro del singer pareva votato al rock dell’ottimo “Mighty Rearranger”. Quello che incontriamo a Milano, dopo cinque anni, è un artista profondamente diverso, che non vuole più saperne dei suoi gloriosi trascorsi e che ha trovato un equilibrio tra i solchi della musica tradizionale, come dimostrano i suoi ultimi lavori. Palco semplicissimo e arrangiamenti minimali hanno caratterizzato l’intero show del cantante, la cui voce riesce ancora ad ammaliare i presenti, ma che viene penalizzata da volumi imbarazzanti e dalla poca presenza di pubblico (ancora in balia di file chilometriche). Come avviene spesso negli ultimi tempi, le danze sono aperte da “Black Dog”, quello che invece non ci si poteva immaginare era che ben otto pezzi su dodici potessero portare la firma Page/Plant. Al di là di “Angel Dance”, “House Of Cards”, “Monkey” e “In The Mood”, infatti, tutta la scaletta verte su brani dei Led Zeppelin, con la sola variante di “Please Read The Letter”, contenuta in “Walking Into Clarksdale” e ripresa recentemente sul disco in compagnia di Alison Krauss. Unici nei, l’assenza totale dei volumi e la durata dello show. Da rivedere al più presto.
Anche Ben Harper non tornava a Milano da un po’, ma negli ultimi anni i suoi concerti nel nostro paese non sono mancati, tanto che vedere migliaia di persone accalcate sul prato dell’Arena Civica dimostra che ormai stiamo parlando di uno dei big assoluti della musica mondiale. Harper è in forma e ha voglia di dimostrarlo, anche se la sensazione è che la band che lo accompagnava qualche anno fa fosse un’altra storia rispetto a quella odierna. I brani non si discutono, ma il feeling che si provava un tempo sembra un po’ svanito. Lo stesso artista spesso eccede in ruffianerie nei confronti del pubblico, tanto che in alcuni casi pare quasi esagerato. Va detto che pezzi come “Diamonds On The Inside”, “Ground On Down” e “With My Own Two Hands” mettono sempre i brividi, ma è il mood generale del concerto a non convincere appieno. Perla assoluta della serata, “Ohio” di Crosby, Still, Nash e Young, purtroppo capita da pochissimi presenti. Milano da bere.
Luca Garrò