Adrenalina a mille, totale interazione con il pubblico, passione, sudore ed energia profuse per l’intera durata del concerto, senza mai risparmiarsi. Questa sera i Biohazard hanno ricordato a tutti qual è la vera attitudine hardcore, e che cosa significava suonare questo genere di musica a New York, negli anni Novanta. Poi chiamatelo pure come volete: rapcore, metalcore, NYC core, tanto la sostanza non cambia. Quello che conta è dimostrare al pubblico di essere un gruppo vero, cresciuto a forza di concerti e fattosi strada a furia di chilometri macinati anno dopo anno, non un bluff costruito a tavolino.
Occasione particolare, quella dello show milanese. Si celebra la reunion della band con la formazione originale, ossia il ritorno del chitarrista Bobby Hembel: non a caso la scaletta verterà esclusivamente sui brani presenti nei primi tre dischi. Il Rolling Stone non è certo strapieno, anzi il pubblico è piuttosto esiguo, e probabilmente il quartetto avrebbe meritato un’affluenza maggiore, ma va anche detto che la data, incastonata tra quelle di due nomi quali Slayer e Slipknot, non è delle più azzeccate. Non si tratta comunque di problemi che possano far vacillare i Biohazard: i newyorkesi non fanno una piega, ringraziano chi è venuto e trasformano il locale in una bolgia. Billy Graziadei fa di tutto per scaldare il pubblico, e alla fine riesce perfettamente nel suo intento: si butta nel moshpit (grande quanto l’intera pista del Rolling), mentre Evan Seinfeld incita il pubblico a far più casino possibile, e torna sul palco fresco e saltellante come se nulla fosse. Intanto la gente continua a salire sul palco, richiamata dai musicisti stessi, e sulle note della storica “How It Is” si giunge ad avere una ventina di ragazzi che cantano il pezzo insieme alla band. Gran finale con Evan caricato sulle spalle di alcuni fan, mentre sta ancora suonando, e continui cori a scandire il nome del complesso. Ovviamente, i Nostri non si tirano indietro nemmeno a show concluso, parlando con il pubblico e firmando autografi.
Diciassette pezzi per un’ora e venti di durata complessiva, ma di tale intensità emotiva che sembrano essere passate più di due ore. Nient’altro d’aggiungere, se non che è stato un privilegio poter assistere a questo evento, che i quattro musicisti sono ancora in forma smagliante, e che oggi pochissimi gruppi possono vantare una tale capacità di coinvolgimento con gli spettatori, un’interattività così spiccata. Molti dovrebbero prendere appunti.
Setlist: Victory – Shades Of Grey – What Makes Us Tick – Tales From The Hard Side – Urban Disciple – Survival Of The Fittest – Black And White And Red All Over – Down For Life – Chamber Spins Three – Retribution – Five Blocks On The Subway – We’re Only Gonna Die (Bad Religion cover) – Love Denied – Wrong Side Of The Tracks – Punishment – How It Is – Hold My Own
Stefano Masnaghetti
Enormi, strafottenti, carismatici, divertenti, hardcore: queste le cinque parole che potrebbero descrivere il set dei riuniti Biohazard, tornati alla formazione originaria in occasione del ventennale. Evento al quale parte della redazione di Outune, rappresentata da ben tre elementi, non poteva mancare, perché (citando una collega di un altro sito) “noi siamo hardcore dentro, e se è statunitense è anche meglio”.
Il set della band newyorkese è stato di livello eccelso, sicuramente, uno dei migliori di questo 2008, già di suo ricchissimo di grandi eventi. Un Billy Graziadei che non riesce a star fermo, al punto di permettersi di insegnare al pubblico a pogare durante la cover dei Bad Religion “We’re not gonna die”; un Evan Seinfeld ipertatuato che incita e si spara le pose anche mentre annuncia i pezzi; il ritornato, e scheletrico, Bobby Hambel che si ritaglia i suoi piccoli momenti di gloria; un ingrassato e apparentemente stanco Danny Schuler precisissimo dietro le pelli. Questi i quattro ingredienti di questo “Monday Night Massacre”: il tutto condito da dei suoni perfetti, che hanno reso ottimamente il mix di hardcore, heavy metal e rap che ha reso, inconsciamente, questa band un riferimento per la musica pesante degli anni appena successivi.
La concomitanza con altri eventi (Slipknot il giorno dopo e Slayer pochi giorni prima) ha portato un’affluenza ridotta al Rolling Stone: pochi ragazzini, tanti capelli grigi, anche qualche stempiatura qua e là e qualche acciacco, ma tanto è stato il desiderio dei presenti di esser là per assistere al concerto dei Biohazard, band che si toglie lo sfizio di far salire sul palco più o meno un terzo dei presenti. Qualcuno dirà che la scelta di dedicare l’intero set (17 pezzi per un totale di circa 75 minuti) sui primi tre album non è stata particolarmente saggia. Ma chissenefrega, questa serata resterà un evento da ricordare per anni e anni.
Nicola Lucchetta