Leopard-Skin Pill-Box Hat – Tutto il parterre era lì pronto per sentire “Gonna Change my Way of Thinking” con la quale Bob ha aperto ogni data del tour di quest’anno (ad eccezione della prima, del 6 aprile a Pechino, aperta con “Gotta Serve Somebody”), ed ecco che il Menestrello di Duluth stupisce (delude? Sorprende? Punti di vista…) con questo vecchio pezzo fortemente ironico. L’esecuzione non è delle migliori e non ha nulla a che vedere con l’apertura, con lo stesso brano, di tre anni fa in quel di Bergamo. È l’inizio di una serata strana, durante la quale un Dylan visibilmente nervoso per problemi tecnici (luci e suono) si lascia a volte sopraffare dall’umore.
When I Paint My Masterpiece – Le cose cominciano ad andare decisamente meglio con questo secondo brano. Bob lascia le tastiere, si posiziona al centro del palco e imbraccia la chitarra. Alle prime parole “Oh, the streets of Rome…” il pubblico si esalta e dimostra di aver gradito la scelta del pezzo. La versione è assolutamente buona.
‘Til I Fell In Love With You – Ci si sposta su materiale più recente. Questo brano, come altri nella serata, viene eseguito al centro del palco ma senza la chitarra: solo voce e armonica. Molti fan sanno che problemi alle dita e soprattutto alla schiena limitano, per Bob, l’uso della chitarra da molti anni. Lui ha optato allora per le tastiere, ma è sorto allora il problema di vederlo perennemente di profilo e defilato a un lato del palco (come per l’intero tour 2006 e non solo). Questa “terza via” va incontro un po’ a tutte le esigenze. La resa è soddisfacente.
I Don’t Believe You (She Acts Like We Never Have Met) – Anche questo vecchio pezzo è cantato al centro del palco solo con l’armonica. La cosa meravigliosa è che, da qui, si risente un po’ della voce nasale del Bob di qualche anno fa che sembrava essere completamente soppiantata dalla voce rauca degli ultimi tempi. È sicuramente uno dei brani più belli della serata all’Alcatraz.
Summer Days – Bob torna alle tastiere e lo show precipita. Il nervosismo è complice di una delle peggiori versioni immaginabili di Summer Days. Anche in questo caso basterebbe tornare indietro di tre anni, al concerto al Lazzaretto di Bergamo, per ricordare una versione infinitamente più emozionante e travolgente.
Spirit On The Water – Sempre alle tastiere. Senza infamia e senza lode. Come accoglienza il brano ha riscosso alle prime note molte urla di approvazione, a dimostrazione che per Dylan i brani più recenti non fanno da riempitivo come per la quasi totalità degli artisti di vecchio corso.
Tweedle Dee & Tweedle Dum – Bob torna al centro con la chitarra ma i problemi tecnici lo innervosiscono ancora. Questa volta, oltre alle luci, sembra non andare il microfono posizionato al centro del palco, tanto che la seconda metà della canzone la esegue con la chitarra ma cantando dal microfono delle tastiere, al lato del palco! L’esecuzione è valida ma chiaramente l’atmosfera è inquinata dalla irrequietezza di Dylan che distrae dal brano.
Can’t Wait – Finalmente arriva la canzone giusta per la serata! Bob coglie l’occasione per sfogare un po’ della sua rabbia. Prende il microfono e si avvicina il più possibile al pubblico (all’inizio il filo del microfono non è abbastanza lungo e se la prende ancora con i tecnici). Bob è così vicino da non essere più sotto la luce dei riflettori. È il pezzo della serata, non immagino un’esecuzione migliore. Il pubblico apprezza tantissimo e ciò innesca un circolo virtuoso che rende la seconda metà dell’esecuzione davvero impareggiabile. Questo brano da solo ripaga il biglietto del concerto.
The Levee’s Gonna Break – Di nuovo dietro le tastiere. Brano eseguito onestamente, ma è solo il preludio di un secondo momento di picco del concerto.
Visions Of Johanna – Già dalle prime parole il pubblico è in visibilio! Versione particolarissima di un classico assoluto. Bob sembra aver ritrovato l’umore giusto e regala una perla preziosissima.
Highway 61 Revisited – Rispetto alla versione degli ultimi anni pare più soft ma è in realtà un crescendo. Pian Piano si definisce incalzante e maestosa. Davvero ottima.
Forgetful Heart – Arriva il secondo picco della serata (dopo Can’t Wait). Bob è al centro con microfono in mano e Donnie Herron lo accompagna degnamente con un violino struggente. In questa serata è possibile apprezzare un Dylan decisamente migliore come cantante rispetto agli ultimi anni: le parole sono scandite e comprensibilissime. La grande forza poetica del testo la fa da protagonista ed emoziona davvero.
Thunder On The Mountain – Diventato ormai un brano di routine ci fa capire che la prima tranche del concerto (prima degli immancabili bis) si avvicina al termine. È eseguito bene ma senza convinzione.
Ballad Of A Thin Man – Tale è la grandezza di questo pezzo da non poter deludere, in nessun caso. Dylan torna ad essere il profeta magnetico che ha conquistato (e a volte ossessionato) le menti di milioni di persone. L’età in casi come questo aiuta. Finita la canzone Bob e la sua band lasciano il palco.
Like A Rolling Stone – I bis partono col classico dei classici. Ma Bob è annoiato e visibilmente stanco (anche psicologicamente). Non è stata una buona serata per lui e questa non è una buona versione di Like a Rolling Stone. Per assurdo risulta essere uno dei brani peggiori della serata. Da dimenticare.
All Along The Watchtower – Nuovo arrangiamento rispetto agli ultimi anni. In questa nuova veste il pezzo perde il carattere quasi mistico che lo ha sempre contraddistinto, l’atmosfera profetica è compromessa.
Blowin’ In The Wind – Anche in questo caso molti si aspettavano “Forever Young” con la quale son state chiuse quasi tutte le date del tour. Ma guai a fare previsioni sulle scalette di Bob! La versione è quella blues degli ultimi anni ma inizia e finisce tutta alla tastiera, senza l’usuale assolo di armonica al centro del palco a fine brano. È senza dubbio il migliore dei bis. Dopo “Blowin’ in The Wind” Bob e la sua band si posizionano al centro del palco per i veloci “saluti” di rito durante i quali Dylan, senza proferire parola, si limita ad accogliere le ultime meritatissime ovazioni.
Paolo Bianchi