Body Count, il report del concerto a Milano dell’8 giugno 2015

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Certi eventi sono intrinsecamente per pochi, come il concerto dei Body Count dell’8 giugno 2015 a Trezzo sull’Adda (Milano). E sono la dimostrazione di come scarsa affluenza di pubblico non sia per forza sinonimo di insuccesso. Ditemi voi, da un punto di vista squisitamente matematico/statistico, quanti italiani possano essere interessati all’immaginario della L.A. nel pieno delle tensioni razziali dei primi anni ’90. A quanti possa interessare un’istituzione del gangsta rap che non sia una fighetta televisiva. A quanti possa interessare del seminale crossover e thrash-hardcore.

Al netto dell’equazione risultano i circa 70 presenti al Live Music Club, 70 disperati assolutamente convinti di essere lì in quel preciso istante. Non il pubblico ormai mainstream e distratto dei Metallica che si presenta in 30.000 per fare i video con l’iPad e lamentarsi se poghi.

Un piccolo manipolo di fedelissimi reduci, pronti a pagare il dovuto rispetto ad Ice-T e la sua cricca Body Count. La gang di L.A. (chiamarli ‘band’ è riduttivo) ha avuto la sua dose di successo e controversie in patria, ora torna a fare brutto a Milano dopo un’apparizione di 20 e passa anni fa, esibizione circondata ormai dalla leggenda quale evento finito male male tra sputi e ceffoni con i punk della zona.

Ice-T e lo storico chitarrista Ernie-C (un pazzo folletto afro muscoloso tutto faccette e shredding) si fanno accompagnare da giovani volenterosi (tra cui il figlio di Ice-T) in questo tour europeo a supporto del nuovo “Manslaughter“. In poco più di un’ora di suoni discutibili e tecnica altalenante, rimangono impressi la violenza e il carattere. Attitude. Che è poi l’unica cosa che importa.

“Body Count is in da House”, la famigerata “Cop Killer”, “Talk Shit, Get Shot”, “Born Dead”, “KKK Bitch”, la collaborazione con gli Slayer “Disorder” (nettare degli dei per chi ha le orecchie giuste): sassi su sassi che ad ogni nota ci rendono più neri, sia di pelle che di incazzatura.

Ice-T ne ha per tutti: bulli, poliziotti infami, razzisti, e la sua nuova crociata contro la dilagante mosceria e fighetteria in cui sono caduti i maschi contemporanei: “pussyfication” suona decisamente meglio.

Band un po’ sgarrupata ma assolutamente feroce e letale, con Ernie a grattugiare la chitarra senza un attimo di sosta e la sezione ritmica ad un passo pure dal blast beat. Pubblico scarso solo numericamente: tutti pronti a cantare, sbattere la capoccia e buttarsi nel mosh pit. Non si è fatta la storia ieri sera, non è cambiato nulla; è passato piuttosto un pezzo di storia, una porta dimensionale si è aperta e ci ha dato l’assaggio di una scena a noi totalmente sconosciuta.

Ecco forse cosa accadeva nel ’92 a L.A., in club angusti e torridi, mentre fuori impazzava la rivolta razziale e la lotta tra gang rivali.

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