Non esiste nulla di più lontano dai Bring Me The Horizon presi a bottigliate sotto il sole cocente durante la prima giornata del Sonisphere 2011 della band che ho visto suonare all’Alcatraz di Milano l’8 aprile 2016. Non solo per i cambiamenti in line-up ovviamente, ma anche per l’atteggiamento e la piega che la formazione di Sheffield ha preso dopo “Sempiternal” e ancora di più dopo l’ultimo album “That’s The Spirit”. Se nel 2011 le sonorità deathcore la facevano da padrone e il set era molto più fisico e sanguigno, oggi i nostri si sono dati una relativa calmata (il frontman Oliver Sykes non fa più stage diving, anche perché se lo facesse verrebbe spolpato vivo come in una vasca di piranha) e fanno un grande affidamento sul tastierista Jordan Fish, che poi è lui ad aver portato di base tanto scompiglio nella formazione e nella scena metalcore. Ma devo ammettere che entrambe le incarnazioni dei BMTH sono riuscite a farmi saltare le coronarie. Prima erano solo sudore e rabbia, oggi anche emozione e ritmo, pur lasciando inalterato il piacere e il potere catartico di urlare fino a scoppiare ascoltando uno dei tuoi gruppi feticcio di sempre.
Come da previsioni, sia la band che Sykes si appoggiano un po’ troppo alle basi pre-registrate e il cantante approfitta furbescamente dell’entusiasmo dei fan per coprire le sue lacune, ma nessuno pare accorgersene (come nessuno pare accorgersi del resto della band perché tutti, anzi tutte, ipnotizzate dal vocalist). In 75 minuti di set nemmeno uno delle centinaia di ragazzi (per lo più giovanissimi) che stipano la location e si accalcano sulle transenne sembra prendersela troppo per questi escamotage, anche perché il delirio è talmente molesto da coprire a tratti i suoni e tutto il resto.
Tra una “Happy Song” e “Go To Hell For Heaven’s Sake”, l’alternanza tra i due lavori più recenti dei nostri è perfetta (sei pezzi ciascuno) e sembra quasi forzata l’introduzione in scaletta di “Chelsea Smile”, estratta da “Suicide Season”, mentre “Blessed With A Curse”, nonostante appartenga al passato remoto dei BMTH, ovvero “There Is a Hell, Believe Me I’ve Seen It. There Is a Heaven, Let’s Keep It a Secret”, è uno dei momenti più emozionanti del set.
Lasciando da parte la depressione che mi prende quando vado a concerti del genere perché sono sempre tra i più vecchi e sempre più vecchia, e il fatto che dopo “Drown” non ho potuto far altro che esclamare “ma è già finito?”, devo ammettere che i Bring Me The Horizon si sono portati a casa un risultato non da poco. Hanno sempre cercato di evolversi e seguire nuove strade di disco in disco, trovando infine la meritata via del successo, i cui simboli sono l’Alcatraz sold out da tempo e un album, “That’s the Spirit”, che è la pietra miliare della loro carriera e il punto più alto del loro successo commerciale ad oggi. È questo lo spirito vincente, un atteggiamento di giusta provocazione all’interno della stessa scena che i BMTH hanno contributo a costruire, e che continuano a rinfrescare mietendo nuove giovanissime vittime dai palchi di tutta Europa, e a portarsi dietro una buona fetta della fan base della prima ora, o almeno quelli che non si sono fatti impressionare dallo zucchero alla Justin Bieber di “Follow You”.