Cat Power, il report del concerto di Milano del 6 novembre 2018

Amatevi. Nessuno potrà mai amarvi come voi amate voi stessi, nella vita molte persone useranno mille stratagemmi per tenervi legati a loro, ma voi prendetevi sempre cura di voi stessi”. Stava già uscendo di scena, un passo verso il backstage, ma Cat Power aveva ancora qualcosa da dire prima di salutare il suo pubblico, quello dell’Alcatraz di Milano, dove ieri sera ha ultimato il suo breve tour italiano, dopo la data del 5 novembre all’Estragon di Bologna. Sono parole preziose, che arrivano dal cuore, esattamente come la musica che le ha precedute, perché se c’è qualcuno che di amore negato ne sa qualcosa è proprio Cat Power: la separazione dei suoi, i continui spostamenti da una città all’altra, l’alcolismo della madre, il suo abbandono, seguito da quello del padre, gli abusi di sostanze, la morte di alcuni amici per abuso di sostanze, svariate relazioni finite male, svariati crolli emotivi e l’esperienza dell’aborto, fino al ricovero in una clinica psichiatrica di Miami nel 2006.

Ne ha passate tante Charlyn “Chan” Marshall (vero nome dell’artista), ma si è sempre rialzata. Dal 2006 di dischi ne ha pubblicati solo tre: l’album di cover del 2008 “Jukebox”; “Sun”, uscito nel 2012 e intriso di arrangiamenti elettronici, che lo allontanano dalla produzione precedente, e l’ultimo “Wanderer”. Pubblicato il 5 ottobre, l’album segna un ritorno alle origini, con un songwriting che procede dalla grande tradizione cantautorale americana, portando nel dna le tracce degli artisti che più l’hanno influenzata nel corso della sua vita. Nel frattempo Chan è anche diventata una mamma single (l’annuncio è arrivato su Instagram nel 2015), un evento che inizialmente l’aveva spinta a pensare al ritiro dalle scene, ma alla fine eccola qua la nostra vagabonda, immensa nella sua pacificata fragilità, forse anche grazie a questi anni lenti e a quel mantra, che ha voluto regalarci alla fine del concerto di ieri.

Una serata dai toni delicati sin dall’apertura con il set dell’artista di supporto Her Skin, che, chitarra acustica e voce, ha portato sul palco le canzoni del suo primo full length, “Find A Place To Sleep”, uscito il 23 febbraio. Cantautrice modenese, appena ventenne, Sara Ammendolia ha alle spalle due EP, “Goodbyes and Endings” del 2015 e “Head Above The Deep” pubblicato nel 2016 da Tempura Dischi, etichetta indipendente di cui è fondatrice. La dolcezza sognante delle sue canzoni, lascia spazio, prima dell’ingresso di Cat Power, alle profondità siderali di un disco come “Skeleton Tree” di Nick Cave & The Bad Seeds. Lo ascoltiamo praticamente tutto, sintonizzandoci sulle frequenze di quanto di lì a poco sarebbe accaduto sul palco di un Alcatraz non esattamente affollato, ma nondimeno scenario di un live indimenticabile.

Accompagnata sul palco da tre musicisti (batteria, chitarra/basso e chitarra/tastiere), Cat attacca a muso duro con “Cross Bones Style/Nude As The News”, seguita dalla cover “Pa Pa Power” dei Dead Man’s Bones, per sfumare sulla più tranquilla “White Mustang” di Lana Del Rey. Un avvio esaltante, nonostante l’evidente tensione di Chan, che continua a lanciare segnali al tecnico di palco. Evidentemente qualcosa non funziona con uno dei suoi due microfoni, una, due, tre, canzoni e poi la richiesta disperata: “Per favore, ho bisogno del vostro aiuto”, dice al pubblico indicando di nuovo il microfono. Il sostegno arriva forte dalla platea, dove per altro suona tutto benissimo, ma un brividino corre lungo la schiena mentre, consapevoli della volubilità dell’artista, camminiamo sul filo del rasoio tra il baratro e l’estasi.

Ci vorrà ancora qualche brano, con Cat che parlamenta col fonico e si ritira spesso dietro la band per riuscire a sentirsi, prima di trovare la quadra, ma il polveroso dittico composto da “Robbin Hood” e “Me Voy” apre già le porte del paradiso. Il resto lo fa il medley composto da “Into My Arms” (Nick Cave)/“Dark End of The Street” (James Carr)/“I Don’t Blame You” (Cat Power)/“I’m Stretched On Your Grave” (Sinéad O’Connor) e risolto sulla splendida “Horizon”. La voce di Cat è ipnotica e la costruzione della scaletta ne esalta la grandezza sia come songwriter, che come interprete.

Chiave di volta dello show, la nuova “Woman” (ft. Lana Del Rey) alza nuovamente il ritmo, raccontando di un’inedita consapevolezza e stabilità raggiunta da Cat (“Taking the charge/I took the lead” canta) e proiettando una nuova luce anche su “Metal Heart”, eseguita nella versione incisa per l’album del ’98 “Moon Pix”: “I once was lost/but now I see”, canta citando il gospel “Amazing Grace”. È un tuffo nel passato calato tra pezzi del nuovo disco, da cui arriva anche “In Your Face”, tra i momenti migliori del live: accompagnata da un tappeto di basso, qualche arpeggio di piano e un semplice pattern di bonghi, Cat Power tiene incollata alla sua voce per cinque minuti una platea letteralmente ammaliata. L’incantesimo continua con la strisciante cover dei Dirty Three, “Great Waves”, seguita da un’ovazione che sfocia nel battito di mani di tutto il parterre sulla movimentata base di “Manhattan”, unico pezzo tratto da “Sun”.

Sembra divertita Cat nel suo lungo vestito di velluto nero e anche un po’ sorpresa dalla calorosa risposta del pubblico di Milano, che, oscillando tra un espressione imbronciata e qualche sorriso luminoso, ringrazia con svariati “mile grazia”. Dopo averci scaldato ancora il cuore con l’ennesimo medley, “He Was a Friend Of Mine” (tradizionale)/”Oh Sweet Nuthin’” (The Velvet Underground)/”Shivers” (The Boys Next Door), seguito da “Good Woman” e “Wanderer”, presenta anche la band in italiano.

Siamo alla chiusura, che Cat affida alla delicatezza di “The Moon”, suonata chitarra e voce, splendido notturno sull’umana caducità e perfetto ultimo atto di questo rito catartico officiato sotto l’egida della dea Diana, gemella di Apollo, identificata con la Luna e protettrice, tra il resto, delle donne e dei viandanti.