Chris Cornell – Alcatraz, Milano 6 luglio 2009

Questo qua mi fa venire il mal di testa. Chris Cornell (storico leader di Soundgarden e Audioslave) calca il palco dell’Alcatraz per uno show di supporto al nuovo album “Scream”, forte di una voce impossibile da non amare ma debole di una scelta stilistica che lo ha portato a produrre un album deludente (con Timbaland), che ha trovato posto in charts e radio ma che gli ha anche tolto gran parte del pubblico conquistato nella sua lunga e iperattiva carriera.

Chris non si è mai fermato un minuto in 25 anni e questo denota che il ragazzo ama questo lavoro e non si è ridotto a farlo solo per pagare le bollette, come capita a molti dopo anni di disco+tour+disco+tour. La prova live fornita dalla sua ugola graffiante è davvero positiva, la sua voce ha tenuto per tutto il tempo andando oltre ogni attesa. I grandi classici sono stati eseguiti, la gente li ha apprezzati e cantati. E allora lo vogliamo trovare qualche difetto? Sì. I brani di “Scream” non rendono in versione rock per via di quel retrogusto hip-hop che, rispettabilissimo e affascinante, non compete affatto a Cornell.

“Part of Me” e “Time” aprono non a caso un concerto che si anima soltanto sulle note della successiva e contagiosa “No Such Thing” di soundgardeniana memoria. Finalmente si fa sul serio. Cornell poi, libero dai tributi a volte sinceri, a volte commercialmente disgustosi per Mr. Michael Jackson, esegue, come da anni, la sua bellissima versione di “Billie Jean”, prima di passare a pezzi esplosivi frutto della collaborazione con i tre musicisti dei Rage Against the Machine: “Set it Off” e soprattutto Sua Maestà “Show me How To Live” vengono cantate con impatto e grinta che valgono il prezzo del biglietto. Dal periodo magico dei Temple of the Dog non può certo mancare “Hunger Strike”, cantata con profondo sentimento dai più affezionati di Cornell. “Ground Zero” (il brano più convincente di “Scream”) e “Never Far Army” ci traghettano fino a “Burden in My Hand” e “Spoonman” che dimostrano come, dal vivo, il caro vecchio Chris ci sappia davvero fare.

Si tratta di un’altra pasta sonora…e si sente. Funziona così la legge del palco: alla gente da concerto, quella che spende ancora decine di euro per i live…devi dare il rock n’ roll.
Efficace ed intimo l’intermezzo acustico, composto da “Fell on Black Days” ed il periodo solista/Audioslave, con la splendida “Can’t Change Me” e l’osannata “Like a Stone”. Un ragazzo accanto a me chiama la ragazza per farle sentire la canzone, dimenticandosi di staccare il telefono e cantandogliela per tutto il tempo nell’orecchio. Un genio. Questa scena alquanto stramba mi introduce ad un brano che attendo da più o meno nove anni, ossia “Cochise”, salutata con un urlo dai presenti, me compreso. Il brano però, manca di quella che in gergo si chiamerebbe canna, perché ci saranno pure due chitarristi egregi dietro, ma a livello di pathos e genio non fanno 1/20 di Tom Morello, così come basso e batteria (bravi e carichi) non valgono la coppia Commerford/Wilk. “Watch Out” precede le piacevoli “Scream” e “Be yourself”, prima di arrivare finalmente a “Rusty Cage” che ci fa ricordare quanto siano stati fighi i Soundgarden degli anni d’oro. Non si tratta di rimpiangere il passato o non apprezzare chi non osa, si tratta di capire cosa va e cosa no. L’acclamata e contagiosa “You Know My Name” precede la conclusiva “Black Hole Sun”. Chris è stanco, saluta al volo e scende dal palco. Il rock lo sa fare e le melodie pure. A lui il merito di crederci ogni volta che ha davanti la sua gente, a lui il merito di avere provato a fare qualcosa di diverso e di non volersi crogiolare e ripetere all’infinito. Timbaland è stato semplicemente un capitolo sbagliato.

Vedremo cosa ci riserverà il futuro, anche se credo che vista la non alta affluenza di pubblico, a breve sentiremo la parola “reunion”. Io sono un fan esageratamente di parte degli Audioslave…ma credo dovrò “accontentarmi” senza troppa fatica dei Soundgarden. Ci scommetto la mia discografia intera che l’anno prossimo il redivivo capellone Chris tornerà a farsi vedere con quegli altri tre grungettoni, più vecchi sì, ma sempre dannatamente rock.

Setlist: Part of Me, Time, No Such Thing, Billy Jean, Set if Off, Show me how to Live, Hunger Strike, Ground Zero, Never Far Army, Burden in my hand, Spoonman, Cornell acustico (Fell On Black Days, Can’t Change Me, Blow Up Outside the World, Doesn’t Remind Me, Like a Stone), Cochise, Watch Out, Scream, Be yourself, Rusty Cage, Disappearing Act, You Know My Name, Black Hole Sun.

Riccardo Canato

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