L’ultimo concerto di Coez a Roma per la conclusione del “From The Rooftop Tour” comincia con un disguido: si sarebbe dovuto tenere al Quirinetta con un preannunciato sold out, ma per ragioni non meglio spiegate è stato spostato allo storico Piper. Sì, proprio quello dove Patty Pravo iniziò la sua carriera. La capienza è quasi il doppio dell’altro locale: in una cornice così ampia e vintage Coez ha avuto modo di concludere degnamente un tour che ha avuto un buonissimo riscontro di pubblico.
“Buonasera Roma” è l’ingresso di Coez sul palco. Ha occhiali scuri, giubbotto di felpa grigia. Inizia con “Non erano fiori” e il pubblico reagisce subito cantando il brano dalla prima all’ultima parola. L’equalizzazione purtroppo è pessima e la voce di Coez fatica ad uscire con chiarezza, ma la commistione scarna tra cantato, chitarra e loopstation è ben riuscita, soprattutto per l’orecchiabilità e l’immediatezza dei pezzi.
Lo ammetto, era un po’ che non vedevo un pubblico così coinvolto in un live. Molto fa la location, abbastanza grande da accogliere tante persone ma comunque contenuta e non dispersiva. C’è un affetto condiviso, le voci vanno sempre oltre quella di Coez, quasi ad incitarlo più che a sovrastarlo. L’atmosfera è quella di un incontro tra amici. “Siamo morti insieme”, praticamente la canta solo il pubblico in una partecipazione potente che scalda il cuore, soprattutto visto il set scarno: sono solo Coez e il chitarrista tuttofare Gaspare (“lo one man band che si fa un culo così”, lo descrive Coez) sul palco, che sembra gigante solo a una prima occhiata.
Il pubblico è composto principalmente da under 30 ma quello che canta Coez non è solo per tempestati ormonali. Gli va riconosciuto un modo personale di cantare sia l’amore più sofferto, sia quella difficoltà di cambiare e maturare che si può cogliere anche a quarant’anni. Ci sono atmosfere che possono ripetersi in loop ad ogni stadio della vita: la chiave del successo delle canzoni di Coez potrebbe essere questa qui. Anche l’omaggio a I Cani con “Una cosa stupida” viene accolto da un boato vero, per non dire di “Le parole più grandi” che praticamente viene cantata a cappella dal pubblico, la cover di Calcutta, la amatissima “Cosa mi manchi a fare”, e soprattutto “Incredibile romantica” di Vasco Rossi, paradossalmente meno acclamata delle altre.
Su “Testa Uragano” arriva anche il live featuring di Gemello. C’è tempo per il toccante saluto a chi se ne è andato, Primo Brown dei Cor Veleno con una cover di “Ciao Fratè”. Qualche barra libera che ricorda gli esordi e via verso il finale: “Lontana da me” e la conclusione definitiva con “Ali sporche”.
A Coez non va di fare il fenomeno indie, non gli va nemmeno di essere ridotto a cantautore, o rimesso nel rap. Gli piace esplorare. E’ stato bene o male eletto a personaggio non incasellabile, ondivago, inspiegabile. A volte può sembrare banale ma è solo di facile comprensione. I bravi snob diffidenti della musica, quando una cosa è troppo facile, preferiscono osservarla da lontano nel timore che possa conquistare troppo.
I puristi del rap lo guardano storto ma lui tira avanti. Alla gente, a vedere il pubblico che ha affollato il buio del Piper Club, Coez piace perché cerca una sua strada e non perde tempo a mettersi in discussione, a mostrare pensieri e fragilità. È comunque qualcuno che riesce a fare tre sold out consecutivi in prevendita a Roma, che ha il coraggio di cambiare strada e che è follemente amato dal suo pubblico. “From The Rooftop” ci ha rivelato un Coez popolare, onesto nella sua volontà di presentarsi in chiave acustica: ed è stato premiato.