Il concerto dei Limp Bizkit tenutosi all’Alcatraz di Milano il 21 giugno 2013 è stato una bomba: scaletta coi classiconi, nessun gruppo di apertura, pubblico eccezionale e un’ora e mezza di bordello. Questo in estrema sintesi quanto verificatosi in Via Valtellina, dove una folla che ha riempito ben oltre la metà il locale (si andava di palco A) ha saltato, pogato, fatto wall of death e sputato sangue e sudore sin dalle prime battute. Ed erano quasi tutti fans seri, di quelli che conoscono anche Counterfaith e Pollution, oltre ad alzare i telefonini su Behind Blue Eyes.
E se ne sono accorti anche i protagonisti sul palco, soprattutto il barbutissimo Fred Durst: inizia il concerto sulle sue, con la solita voce flebile e le movenze al risparmio…ma nel giro di due pezzi capisce che è la serata giusta. Dopo la doppietta Gold Cobra e My Way dice “questa sera c’è un’energia assoluta qui dentro” e ha ragione. My Generation, Nookie, Take A Look Around, Livin It Up, Hot Dog e Break Stuff viaggiano come se si fosse di botto tornati a fine anni novanta/inizio duemila. Il pandemonio, cori su cori e un saltellamento continuo, anche da parte dei musicisti on stage sempre più conquistati dalla situazione. Spazio anche alle cover fatte apposta per arruffianarsi ulteriormente la sala, via quindi di Killing In The Name e alla prima parte di Smells Like Teen Spirit. Wes Borland, che è un figo nonché il vero artista dentro il combo per capacità tecniche oltre che per personalità, si diverte a sparare i riffs di Metallica, Megadeth, Slayer e Pearl Jam facendosi venir dietro dal martellante batterista John Otto (ma non li capisce quasi nessuno nella folla quindi sti cazzi).
[youtube aoWNXNEr6Vk nolink]Una bellissima serata quindi, che ha visto gente di varia estrazione sociale e musicale unirsi nei ritornelloni terroni che hanno fatto epoca sul vendutissimo Chocolate Starfish and the Hot Dog Flavored Water del 2000. Un pubblico composto da vecchi ed ex giovani (anche perché i ventenni di oggi ascoltano i rappettari italiani della sfiga piuttosto che i Bring Me The Horizon, alla fine la generazione nu-metal del 2000 è stata l’ultima che si è salvata in qualche modo, ndr), belle sgnacchere, tatuatissimi, pivellini, gente da concerto di Ligabue e da rave party dei Prodigy: una figata insomma, un mix difficile da trovare altrove con in comune le composizioni di un gruppo che, piaccia o meno, ha rivestito un ruolo importantissimo nella scena mainstream, portando la distorsione assassina (e figlia del thrash e groove-metal di Slayer e Pantera) di Borland all’interno di motivi apparentemente banali e senza pretese, irrobustendoli al punto di impattare così forte dal vivo da conquistare anche chi, inizialmente, era molto scettico.
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