Diciamoci la verità: a tutti mancano gli Oasis. Ben vengano i Beady Eye di Liam Gallagher, ben vengano i Noel Gallagher’s High Flying Birds, ma insieme i due fratellini di Manchester erano tutt’altra cosa. Questo non vuol dire però che il nuovo progetto di Noel in concerto a Milano il 28 novembre non sia da stimare e da tenere sott’occhio, anzi. L’Alcatraz è pieno, e non potrebbe essere altrimenti dato che il concerto è sold out. Tra il pubblico scorgo diversi striscioni, tra cui un irriverente “where is Liam?” , un “who the fuck are beady eye” che fa borbottare i ragazzi vicino a me e svariati “Noel” giganti e cuori rossi.
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Noel è esattamente come te lo aspetti. Quei capelli alla omino della lego, camicia azzurrina semplice, un paio di jeans e il viso imbronciato tipico degli inglesi attaccabrighe. Saluta Milano, non si sbottona, canta ed è giusto così, è ciò che ci aspettiamo da lui. Non è solo, ci sono i suoi High Flying Birds, il gruppo che lo accompagna dopo l’ennesima litigata che ha sancito la fine della telenovela dei fratelli Gallagher, quella delle liti delle botte delle parolacce e degli insulti, e quella che ha portato allo scioglimento degli Oasis.
Questi uccelli volano alti proprio come il loro nome suggerisce: un’ora e mezza e qualcosa in più senza sbavature, liscia come l’olio, con una scaletta che accontenta ogni tipo di fan. Oltre al talento già famoso di Noel, alla sue voce inconfondibile e alla sue allure particolare, il resto dei musicisti è da citare perché ha davvero reso uno show bello assolutamente perfetto, senza sbagliare un colpo (se chiudevi gli occhi ti sembrava quasi di ascoltare gli Oasis, peccato però che la mancanza della voce di Liam sia davvero troppo grande da colmare, ndr). Ma in fondo non parliamo di personaggi sconosciuti, parliamo di Russell Pritchard al basso che proviene dagli Zutons, di Jeremy Stacey alla batteria proveniente dai Lemon Trees e di Lenny Castro.
I pezzi presentati da Noel e i suoi Flying High Birds sono sia quelli contenuti nel primo album solista del primogenito Gallagher, “The dream we have as children”, “It’s good to be free” (pezzo di apertura) e “Half the world away”, sia quelli del disco omonimo della band, dai singoli “The death of you and me” e “If I had a gun”, a “Everybody’s on the run” e “Dream on”. Ovviamente, come si poteva ben immaginare e come si sapeva praticamente per certo (le setlist dei concerti precedenti sono online da tempo, ormai, sbirciatissime da tutti i fan) Noel Gallagher presenta al pubblico milanese anche le sue versioni di alcune tra le più celebri canzoni degli Oasis. Meraviglioso il terzetto di chiusura, con “Little by little”, “The importance of being idle” e un’apprezzatissima “Don’t look back in anger” che fa venire gli occhi lucidi un po’ a tutti quanti, che riporta indietro negli anni e ci fa pensare che si, gli Oasis non ci sono più (chissà per quanto ancora, poi…) ma alcune loro canzoni sono davvero intramontabili, indimenticabili e lasciano brividi sulla pelle ogni volta, sempre di più.
Il momento più significativo, quello che sicuramente segna il clou della serata, è quello centrale dello show, quando Noel posa la chitarra elettrica per abbracciare l’acustica, e si capisce che sta per arrivare il suo momento, il momento della canzone oasisiana per eccellenza, quella “Wonderwall” rivisitata e che come versione somiglia (un po’ troppo, a dirla tutta) alla versione di Ryan Adams. Le voci degli spettatori dell’Alcatraz sovrastano quasi quella del Gallagher, si amalgamano in un unico grande coro che sembra quasi dedicare a lui stesso quel “and after all, you are my wonderwall” (il mio cuore palpita subito dopo, quando attacca “Supersonic”, che va a sostituire la “Don’t go away” dei concerti precedenti). L’unico momento in cui il singer si sbottona un po’ è quando nomina Mario Balotelli (“do you know Balotelli? This song is for him” – Mario Balotelli adesso gioca nel Manchester City, la squadra del cuore dei fratelli Gallagher, ndr) e la canzone in questione è “AKA, What a life!”. C’è da dire che va bene così, le aspettative non sono state deluse, e guardandosi intorno ci si accorge che anche gli altri spettatori la pensano come me.
Denise D’Angelilli
[youtube MkdZ-aFBOQM]Ps: ho visto tre quarti del concerto al fianco di un emozionato Cesare Cremonini, il quale ha cantato a squarciagola, soprattutto quelle firmate Oasis, e ha innalzato il coro “who the fu*k are man utd” (che sta per Manchester United, la squadra avversaria del City di cui sopra). Il sorriso di Cesare è probabilmente la cosa che mi resterà più nella mente, come un bambino in un negozio di caramelle. Grazie Noel, è stato bello vederti e avere la conferma che, indubbiamente, sei tu l’indiscusso re del Britpop. (ma in fondo, c’era qualcuno che aveva dubbi a riguardo?)
Ho voluto subito leggere la recensione del concerto di NG. Purtroppo/perfortuna avevo i biglietti regalati per un altro grande concerto: Smashing Pumpkins. Altro grande gruppo di riferimento per la mia crescita musicale.
Ho apprezzato tantissimo Billy Corgan e compagni con pezzi da capogiro. assoli alla fulmicotone con interventi melodici da pelle d’oca. Tutto questo costellato dalla sua voce malata e sguaiata che ha fatto crescere migliaia di ragazzini che come me, negli anni novanta, aveva bisogno di “tristezza infinita”.
Leggendo la splendida recensione non posso far altro che apprezare quanto lungimirante sia stato. Ok, gli Oasis insieme erano davvero una cosa meravigliosa, il problema è che Liam e i Beady eye non sono altro che il quinto quarto dell’animale Oasis. Si buono ma la parte succosa, proteica e vera è indubbiamento Noel.
Lo dico un po di parte (avendo suonato in un tributo agli Oasis e facendo la parte di Noel appunto) ma vero è che i pezzi, l’enfasi, le emozioni e tutte le contraddizioni provengono dal quella bella testa di lego!
Oggi sono felice di essere andato al concerto degli SP ma la prossima volta che arriva il fratello buono, il sottoscritto si fionda alla biglietteria.
Ci si vede ai magazzini generali: The Wombats! allora li se ne vedranno delle belle.
Cheers!
Gio