Ieri sera si è tenuto all’Ippodromo del Galoppo di San Siro di Milano, teatro della rassegna milanese City Sound, il primo concerto italiano dei Paramore a supporto del loro omonimo lavoro, ultima release discografica nei negozi dallo scorso aprile. Per una minima percentuale dei presenti (compreso chi scrive), la prova del nove per vedere se il gruppo è in grado di bissare il clamoroso successo del tour di Brand New Eyes anche onstage; per i restanti, tolti i genitori, l’evento della vita. Seimila spettatori che hanno accolto con un boato il ritorno della band del Tennessee dopo un lustro di assenza. Pubblico che la stessa Hayley Williams ha descritto tramite Twitter, nei momenti successivi allo show, come “Il più rumoroso, forse di sempre“.
La scaletta non presenta alcuna variazione rispetto a quanto già suonato negli States tra aprile e maggio, escludendo il taglio di Proof dovuto a motivi di coprifuoco. Sono tanti gli estratti dagli ultimi due lavori, scelta che ruba spazio ai precedenti All We Know Is Falling e Riot!, dai quali vengono presi i classiconi e Whoa, unica chicca della serata e brano che non è stato tra i più gettonati nel loro precedente tour mondiale. Anche se il divario di impatto con i pezzi della prima ora è tangibile (fin troppo su Fast In My Car e Anklebiters, che ha visto la collaborazione di dieci fan ai cori), le canzoni pescate da Paramore guadagnano diversi punti dal vivo, grazie anche a quei singalong che rendono gradevoli Now, Ain’t It Fun e il suo coro gospel e Still Into You. Ma è con le hit degli altri tre cd che salta fuori il bordello e, con Misery Business e For a Pessimist, I’m Pretty Optimistic che possono essere definiti dei veri e propri inni generazionali, la vera sorpresa arriva da Let The Flames Begin, canzone alla quale viene agganciata quella Oh Father dal sapore post hardcore che sembra voler dire che, pur essendo ormai i Nostri un nome mainstream, quando serve riescono ancora a pestare duro.
Saranno oramai un nome affermato, ma dal vivo i Paramore si comportano ancora con la genuinità di una band del liceo pronta a lottare per un posto nella vetta della Battle Of The Band. Certo, hanno una produzione di grido (logo in formato pannello LCD e uno spettacolo visivo di primo livello), ma nel vederli fare acrobazie, raccogliere divertiti cd lanciati dal pubblico, saltare avanti e indietro, fare i giocolieri ed improvvisare pattern di basso e batteria (su Whoa) e indossare le magliette dei gruppi preferiti come un qualsiasi teenager (nella data di Milano Hayley sfoggia una t-shirt smanicata degli Siouxie And The Banshees) il pensiero che il tour sia in realtà per loro un divertimento è tangibile. Una band nella quale però emerge sempre più quell’Hayley-centrismo che è una conseguenza inevitabile dell’abbandono dei fratelli Farro avvenuto nel 2010: a causa del carisma e del look della frontwoman rossocrinita, le luci della ribalta sono puntate su di lei, rendendo i compagni d’avventura Jeremy Davis e Taylor York poco più di semplici gregari.
I Paramore sono ufficialmente un fenomeno di costume anche in Italia. Una data, partita in sordina all’Alcatraz e poi spostata nel più capiente Ippodromo di San Siro, che si candida a evento di spicco dell’estate pop punk del 2013. Con una speranza: che il successo venga replicato anche nella prossima data di Bologna, nella quale la band potrebbe riservare ben più sorprese in setlist rispetto a ieri sera.
Setlist Paramore: Moving On, Misery Business, For a Pessimist, I’m Pretty Optimistic, Decode, Now, Renegade, Pressure, Ain’t It Fun, The Only Exception, Let The Flames Begin, Fast in My Car, Ignorance, Looking Up, Whoa, Anklebiters, That’s What You Get, Still into You, Brick By Boring Brick
PS: In apertura hanno suonato i Dutch Uncles, band di Manchester che pesca a piene mani da tutta la musica inglese degli ultimi trent’anni. Acerbi in alcuni passaggi, ma con dell’ottimo potenziale. L’augurio è di vederli replicare il percorso artistico fatto dalla band che aprì per i Paramore in Regno Unito nel 2010. Un nome da poco: i Fun..