Il ritorno in Italia dei Converge coincide con la promozione mondiale dell’ultimo disco “Axe to Fall”, vendutissimo negli USA e discreto qualitativamente. E’ estate piena, l’agosto in città si fa sentire ma al Magnolia arrivano quasi un migliaio di persone mentre sembra che da un momento all’altro il cielo inizi a riversare acqua.
Dopo l’apertura del fuoco ad opera di un terzetto di band, Kvelertak, Gaza e Kylesa, è la volta del quartetto del Massachusett. Partendo dalla fine, si sentirà distintamente il netto divario tra Bannon e soci e i gruppi spalla. Ma questo è da anni un dato di fatto. Loro sono i Converge, quelli con un suono che anche Michele l’intenditore riconoscerebbe tra mille, anche strafatto di Glen Grant.
La loro musica spaccatutto offre dal vivo uno spettacolo coinvolgente. Poco metal e poco headbangin. La matrice hardcore è sempre un punto focale on stage. Cambia un po’ la storia vederli su un palco grande, abituati ai passati tra squat e concerti a tu per tu con il pubblico.
Gruppo in gran forma ma suoni che penalizzano pesantemente il loro muro post hardcore-metal-noise. Molti spettatori spendono così parole di fuoco all’indirizzo di tecnici o chi per loro. Il volume della chitarra lambisce le orecchie mentre tutti vogliono sentirsi respingere dall’ondata di suoni. Sul palco Bannon si mostra subito, e per tutta la durata, un tarantolato. Presenza scenica, al solito, conturbante e unica. Si muove come una furia, gesticola, corre, gioca con il microfono. Forse l’estenuante e totale tour già si sente sulle sue povere corde vocali (ma già sette anni fa pensavo fosse l’ultima notte con la sua gola se non gli fosse stata immediatamente trapiantata).
Qualche pezzo nuovo e da “No Heroes” si perde tra quelli di “Jane Doe”, che scatenano freneticamente gli astanti.
Dopo un’oretta di live (tempo giusto, tempo da hardcore), le vittime di questo assalto sonoro si portano a casa una buon ricordo.
Luca Freddi