I Counting Crows hanno scelto Milano per concludere il loro tour europeo in supporto all’ultimo disco, “Somewhere Under Wonderland“. Con il concerto tutto esaurito all’Alcatraz del 23 novembre 2014 si chiude un importante capitolo per la musica live di questo 2014, quello che ha visto l’atteso ritorno di una della band più sottovalutate dell’ultimo ventennio.
Quello di Adam Duritz e soci è stato un concerto trasudante passione, quella pura e frenetica per l’arte e una delle sue più controverse forme d’espressione. Sulla figura dell’irreprensibile frontman si potrebbe parlare per pagine e pagine senza riuscire davvero mai a delineare l’essenziale, ma quando si tratta dei suoi live ci sono alcuni capisaldi da cui è impossibile prescindere.
Innanzitutto vocalmente Duritz è un asso, sia dal punto di vista espressivo che dal punto di vista tecnico. Gioca con la sua ugola, cercando sempre di dare nuove forme ai brani. Non stupisce infatti che il sing along in un concerto dei Corvi sia molto più complicato del solito: il paroliere diventa attore e improvvisa, va a braccio, talvolta ricamando nuovi versi, talvolta rimodellando quelli esistenti per cogliere il particolare momento. Questa dimensione è chiara fin da subito, quando il primo brano della scaletta, la storica “Round Here”, arriva a scuotere la platea con la sua irruente carica emotiva. L’interpretazione è sempre calda e tempestosa, mai ripetuta e sempre difficile da gestire per chi ascolta. Una botta al cuore che è persino strana per essere il punto di partenza di uno show di oltre due ore.
Tra il singolo “Scarecrow” e le apprezzatissime “Cover Up The Sun” e “God of Ocean Tides”, le tracce del settimo ed ultimo album in studio della formazione californiana non sfigurano affianco ai grandi classici del repertorio, come “Mr. Jones” o la toccante “Colorblind”, ma anzi riescono a conferire ancora maggior spessore all’opera. In realtà in tal senso il risultato migliore arriva con “Possibility Days”, talmente profonda e catartica da risultare uno dei momenti più alti della serata, nonostante sia uno degli ultimi tasselli ad inserirsi in una carriera pluridecennale.
Grande lavoro dei sei musicisti sul palco con il loro leader, in un delicato fraseggio in grado di valorizzare quegli ottimi elementi negli arrangiamenti che nell’ascolto in cuffia perdono spesso rilievo in favore di un’immagine d’insieme molto chiara ed efficace. Tutto questo ha modo di emergere grazie ad un’eccezionale versione dal vivo della celebre cover di “Big Yellow Taxi” di Joni Mitchell – persino irriconoscibile in alcuni passaggi – ed infine in un encore perfettamente bilanciato tra la poliedrica “Palasides Park” e la disimpegnata “Holiday In Spain”.
Per i saluti è doveroso il reciproco abbraccio tra band e pubblico, entrambi meritevoli in una serata meravigliosa che non può che chiudersi con una promessa: “torneremo molto presto“. Tornate Corvi, e non smettete mai di essere i romantici eroi silenziosi di cui tutti gli amanti del classic rock hanno bisogno.
Fotografie a cura di Alessandro Bosio.