I Cradle of Filth hanno portato le loro suggestioni goth e il loro sound inconfondibile al Fabrique di Milano il 7 novembre 2015. Ma prima, sono riuscita a godermi una parte del set dei Ne Obliviscaris, band australiana per la prima volta in Italia, a cui è spettato il difficile compito di aprire per Dani Filth e compagni. Devo dire che tra growl, violini e presenza scenica, il loro biglietto da Melbourne i Nontiscordardimé se lo sono ampiamente guadagnato.
Premetto che prima di ieri sera, non avevo mai visto live i Cradle of Filth e non sapevo proprio cosa aspettarmi. Quindi, oltre a chiedermi se il corpse paint di Dani Filth fosse uno dei più efficaci della sua carriera o se assomigliasse di più a una zucca di Halloween, ero davvero impaziente di sapere che razza di show mi si sarebbe parato davanti. Già mi stavo fregando le mani vedendo sul palco una coppia di scheletri crocifissi e l’asta del microfono di Filth costituita da costole, tibie e corna di ariete rigorosamente nere, ma quando la band si è presentata sul palco ho capito che avrei trovato pane per i miei denti, a livello visivo e non solo. Rimanendo sempre sull’apparato di scena, Dani Davey guida la sua corte di nero vestita con un bel travestimento da diavolo, tra copricapo cornuto e mantello svolazzante, mentre sullo sfondo si susseguono gli artwork delle copertine della band inglese che mi sono sempre piaciuti tanto che ci tappezzerei casa.
I nostri esordiscono con “Heaven Torn Asunder”, pezzo poco più che ventenne ma che suona ancora fresco come nel 1996. A proposito di freschezza, il primo brano tratto da “Hammer of the Witches”, la più recente fatica dei CoF, ad apparire in scaletta è “Blackest Magick in Practice”, una delle mie preferite su disco, che rende bene anche dal vivo. Durante questo pezzo, Filth chiama il moshpit, e lo farà più volte nel corso della serata, con scarsi risultati. Peccato. Poco prima di “Right Wing of the Garden Triptych” il frontman benedice le prime file con una bottiglietta a mo’ di acqua santa ma è durante “Queen of Winter, Throned” che la folla finalmente risponde alle provocazioni della band che ci dà dentro come non mai. Dani Filth è sempre in grado di cacciare delle urla che forano i timpani e ti si piantano nel cervello come uno spillone, con il suo modo particolare di appendersi al microfono e saltellare durante le note più alte, ed è pure in vena di chiacchierare, tanto da ricordare i vecchi tempi quando suonava al Transilvania di Milano con i Necrodeath.
I nuovissimi arrivi sanno come usare i loro strumenti, qualunque essi siano, compresa Lindsay Schoolcraft, che in “Hammer of the Witches” non mi aveva detto nulla ma la voce ce l’ha, eccome, ed è anche capace di tenere il palco. Tempo di encore e dopo la nuova “Yours Immortally…” è il turno di “Nymphetamine (Fix)”, uno di quei pezzi che li ami o li odi (io lo amo e l’ho pure cantato a pieni polmoni). In chiusura, per onorare il pubblico milanese, la band esegue per la prima volta nel corso del suo Inquisitional Tourture la storica “The Principle of Evil Made Flesh” tratta dall’omonimo album del 1994.
Mi aspettavo di tornare a casa assordata e soddisfatta, e così è stato. Se proprio devo trovare il pelo nell’uovo, non mi hanno fatto “Born in a Burial Gown”, il pezzo che mi ha introdotto al mondo goth fatto di amori tragici, horror, miti e leggende e citazioni letterarie vittoriane dei Cradle of Filth. Ma pazienza, sarà per la prossima volta.