Dopo il successo del primo concerto romano, il mini tour italiano di D’Angelo sbarca all’Estathè Market Sound di Milano il 7 luglio 2015. Le temperature subsahariane di queste sere sembrano destinate ad alzarsi ulteriormente sulle note di colui che universalmente è ritenuto uno dei padri fondatori della moderna musica soul.
All’anagrafe Michael Eugene Archer, D’Angelo con soli tre album all’attivo (per poter ascoltare l’ultimo, “Black Messiah“, ci sono voluti 14 anni di attesa) si è aggiudicato 2 Grammy e l’appellativo di (degno) erede di artisti del calibro di James Brown, Prince e Marvin Gaye.
Appena arrivata ho come la sensazione di essere nel posto giusto al momento giusto: il pubblico, molto “milanese”, sembra più quello di un evento mondano che quello di un concerto. Di fianco a me alcuni ragazzi, per ingannare l’attesa, si improvvisano critici musicali ponendosi domande esistenziali sulla situazione della scena Black americana. Quesiti che sembrano avere come unica risposta plausibile il nome di D’Angelo.
Si dovrà attendere fino oltre alle 22.00 per vederlo arrivare sul palco, accompagnato da una rosa di musicisti di tutto rispetto: Chris Dave, Pino Palladino, Jesse Johnson, Isaiah Sharkey, Kendra Foster, Cleo “Pookie” Sample. Vestito con un lungo impermeabile a strappi, l’artista sembra fregarsene dei 50 gradi percepiti e da il via alla serata con le trascinanti note di “Ain’t That Easy”, brano d’apertura di “Black Messiah”, un mix di funk psichedelico e ritmi hip hop. La lunga attesa è stata subito ripagata. D’Angelo, sorretto dai The Vanguard, offre uno spettacolo di altissimo livello. Zero fronzoli, 100% musica. La sua voce, sempre potente, si destreggia tra pezzi funky, soul e r&b, e altri dal sapore quasi jazz.
Canzoni come “The Charade” hanno tutta l’aria di essere un chiaro omaggio al sound denso e coinvolgente di Prince, mentre altre sembrano voler dimostrare che l’unico vero erede di James Brown è il (geniale) artista di Richmond (città natale di D’Angelo, ndr). La costante della serata è il groove sprigionato dal palco per le quasi due ore di live. Alla fine tornare a casa costa fatica, come se tutti fossimo ancora posseduti dal funky andato in scena fino a qualche minuto prima. La risposta alle domande iniziali è, ancora una volta, una: il Balck Messiah è tornato più in forma che mai.
Grazie a Laura Ritagliati