Deep Purple, il report del concerto di Milano del 31 ottobre 2015

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Non avrei mai pensato che i Deep Purple potessero tirare ancora così tanto. Almeno non fino al momento in cui ho messo piede al Mediolanum Forum di Assago, strapieno di fan di tutte le età, accorsi per non perdersi la seconda delle quattro date italiane del Now What?! World Tour. Ero convinta che questi mostri sacri del rock avessero detto tutto quello che c’era da dire, sia in studio che in sede live, ma mi sbagliavo di grosso. E soprattutto, non avevo considerato che lo zoccolo duro della fanbase dei Deep Purple è uno dei più duri a morire, e non si accontenta di vedere solo un paio di concerti nella vita (c’è chi li ha visti decine di volte, in più Paesi, senza badare a spese).

Azzeccatissimo il warm-up con la Treves Blues Band: il puma di Lambrate, visibilmente emozionato per l’occasione di aprire per la sua band preferita, scalda l’atmosfera con la consueta passione, condivisa da Alex “Kid” Gariazzo e tutti i suoi. E anche dal pubblico.

Ore 21.30. Su un palco molto minimale (chi ha bisogno di effetti speciali con delle personalità del genere?) arrivano i Deep Purple, attaccando con “Aprés Vous”, un pezzo estratto da “Now What?!”, e già lì si capisce che non faranno prigionieri. Anche perché se dopo neanche cinque minuti ti sparano “Demon’s Eye” giocano davvero sporco.
A proposito di personalità: il bello dei cinque inglesi è che nonostante il repertorio da megahit che hanno alle spalle preferiscono concentrarsi sulla musica in sé e per sé, lasciando grande respiro a brani strumentali e assoli che danno la possibilità ad ognuno di loro di brillare.
Il settantenne (sì, avete letto bene, sette-zero) Ian Gillan dimostra di avere ancora un gran fiato negli ululati di “Hard Lovin’ Man” e con un distacco molto British incita di tanto in tanto il pubblico, che in realtà ha ben poco bisogno di essere aizzato dato l’entusiasmo generale. Con mia somma sorpresa ci sono stati pure un paio di lanci di reggiseno sul palco, giusto per ricollegarmi a quanto dicevo in apertura sul fatto che i Deep Purple tirino ancora un bel po’. Io di sicuro da chitarrista fallita mi sono presa una bella cotta per Steve Morse. Ma tralasciando i miei gusti personali, il set procede alla grande, con un Ian Paice più scatenato che mai durante “The Mule”. In chiusura, la trascinante “Space Truckin’” e, last but not least, il pezzo con cui ogni aspirante chitarrista ha fatto il figo una volta imparati gli accordi… Beh, se non l’avete ancora capito mi riferisco a “Smoke on the Water”. Ma non finisce qui e i nostri ci deliziano con “Hush”, un assolo al basso di Roger Glover e la leggendaria “Black Night”.

Diciamo che ieri sera è stato uno di quei momenti in cui sentivo stretti i miei trent’anni, per una volta non perché volessi essere più giovane, ma al contrario, leggermente più anziana. Che cosa deve essere stato vedere un concerto dei Deep Purple a inizio carriera, considerando il fatto che anche oggi fanno letteralmente paura? Non saprei, posso solo immaginarlo. Dirò una banalità, ma i Deep Purple sono da vedere almeno una volta nella vita, soprattutto per chi si professa intenditore di musica, anche solo per gasarsi pensando a chi è passato in quella line-up e in quali line-up sono passati gli attuali componenti della Mark VIII. Se sono arrivata al Mediolanum Forum con la baldanza del “vediamo cosa succede”, sono uscita con il capo cosparso di cenere.

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