Ancora Depeche Mode, ancora Dave Gahan e Martin Gore, Andy Fletcher. Non sembra averne mai abbastanza il pubblico italiano della band inglese e per fortuna nemmeno loro sembrano nemmeno vicini al momento di deporre le armi musicali e andare in pensione.
Ieri sera la prima delle due date al Forum di Assago ha offerto ne più ne meno di quello che sono i Depeche Mode nel 2018 e quello che erano nel passato anno. Quelli che questa estate hanno infiammato San Siro sono ora nei palazzetti a riempire gli spazi chiusi di tutti i loro ingredienti che li hanno portati ad essere negli anni uno dei gruppi più giganteschi mai esistiti.
Elettronica, rock, potenza, sensualità in quantità imbarazzanti se pensiamo a quanti chilometri ha già effettuato questa band in giro per il mondo. Quante vittorie, sofferenze, cicatrici. Persino la morte si è affacciata per poi ritirarsi decidendo che forse non era ancora il momento di portarsi via uno dei più grandi frontman della storia della musica.
Eccolo lassù Dave Gahan, che appare dopo l’intro dei Beatles “Revolution” e dopo che tutti gli elementi sono al loro posto e hanno iniziato a suonare. Eleganza e movenze sexy è sempre lui, sopra la passerella che divide in due il megaschermo dentro cui per tutto il concerto scorrono le potenti e variegate immagini curate dal genio visivo di Anton Corbjin. Le sue braccia cominciano a mulinare e non si fermeranno un secondo, a parte le parentesi in cui Martin Gore salirà in cattedra, presentando ai fan un’ugola in perfetta forma con le prime battute di una delle opener migliori della loro discografia “Going Backwards” . Anche le sue anche si muoveranno spesso e volentieri, a volte ritagliandosi dei veri e propri momenti da headliner dello show mandando in visibilio il pubblico femminile.
Il nuovo album rispetto a questa estate viene limitato a tre pezzi, oltre alla canzone in apertura anche il singolone rabbioso “Where’s The Revolution” e la bellissima “Cover me”, impreziosita dalle immagini di Corbjin provenienti dal video ufficiale dove Gahan è un astronauta che vaga sperduto per le strade di una metropoli terrestre.
Gahan dà l’impressione di essere un professionista dell’intrattenimento del pubblico, talmente ispirato da diventare una cellula impazzita e calibrata alla perfezione. Ogni sorriso, sculettamento urlo e gesto è mirato ad eccitare anche l’ultima persona del pubblico appoggiata al muro in fondo al palazzetto.
A parte un Fletcher che mostra una verve e una silhouette mai così atletica e leggiadra, Martin Gore è come sempre la seconda enorme metà dell’universo Depeche Mode. Più posato, schivo e timido ma non per questo incapace di generare lo stesso numero di emozioni della sua controparte istrionica al microfono. Dona al pubblico estasiato “Inside” e “Home” dal loro capolavoro Ultra ma anche una versione acustica di “Strangelove”. Oltre agli innumerevoli classici della band ho apprezzato particolarmente il vecchio cavallo di battaglia “World In My Eyes” e “Stripped”, la sempre affascinante “In You Room”. Anche se ascoltate milioni di volte è impossibile non pensare di “Enjoy The Silence” che sia probabilmente il miglior pezzo elettro pop di sempre, così come la inossidabile “Walking In My Shoes”.
L’energia sprigionata durante l’esecuzione di “Personal Jesus”, pezzo senza tempo coverizzato anche da gente come Johnny Cash, è una cosa che raramente si vede nei concerti musicali. E’ un’energia che già parte portentosa dalla band e che non è stata scalfita dagli anni, energia che poi viene moltiplicata esponenzialmente dal pubblico e diventa qualcosa da far impazzire i sismografi. Che importa se quest’anno i Depeche hanno inanellato un numero inusuale di date, che ancora li vedono Lunedì nella replica di ieri ad Assago e ancora la prossima estate all’interno della cornice di Barolo. Che importa se è appurato non ci sia assolutamente rischio di assuefazione a cotanta bellezza, tanto potere musicale. Che suonino pure tutti i giorni per sempre. Lunga vita ai Depeche Mode.