Il festival più grande del Regno Unito, oggi Download e un tempo Monsters Of Rock, giunge alla trentesima edizione e festeggia come solo una ricorrenza del genere merita di essere celebrata: tre giorni in compagnia del meglio che il rock n roll mondiale possa offrire ai suoi fan accorsi da mezza Europa.
Leggere gli headliner sui cartelloni mette i brividi lungo la schiena e si attendono circa cinquecento mila persone in una tre giorni fatta di emozioni, assolo e, perché no, immancabile pioggia. La prima serata spara alcuni tra i botti più rumorosi: Them Crooked Vultures ed AC/DC, alla loro terza partecipazione e a vent’anni da quella che li riconfermò padroni del mondo dopo il clamoroso successo di “The Razors’ Edge”. Partiamo però da Grohl/Jones/Homme, forse il combo più stratosferico nato negli anni zero: un concentrato di groove, sudore e passione che ha spazzato via tutti i gruppi passati da Castle Donington in questa prima tappa della kermesse. E’ suggestivo pensare che in un festival inventato nell’ottanta da Richie Blackmore per celebrare la nuova formazione dei suoi Rainbow, si siano ritrovati sullo stesso palco uno dei simboli più conosciuti del decennio precedente insieme ad uno dei più importanti musicisti di quello successivo. Vedere John Paul Jones fissare negli occhi un Dave Grhol invasato e bonhamizzato, come nemmeno il figlio legittimo è mai stato in grado di fare, non ha prezzo nemmeno per i possessori di Mastercard. L’ora e mezza che passa dal primo accordo di Elephant alla fine dello show è un condensato di storia del rock che ha incantato i più giovani (quando vedremo così tanti bimbi ad un concerto in Italia?) e commosso i più maturi. Per tutti i presenti la sensazione è che, col ritorno prepotente dei Foo Fighters e la reunion dei Queen Of The Stone Age alle porte, sarà difficile godere della loro classe ancora per molto.
Terminato lo show dei Crooked, con ancora il sole ben alto sulle teste dei presenti, ecco partire il video della locomotiva impazzita preludio all’arrivo sulle scene del gruppo di Angus Young e soci. Il palco è lo stesso del resto del tour, anche se la resa sonora surclassa totalmente ogni band salita on stage durante la giornata e soprattutto regala agli italiani presenti un audio incredibile dopo lo scempio di Udine. Per iniziare, Brian Johnson si sente cantare, dettaglio non da poco per uno show degli AC/DC; inoltre, il suono di ogni strumento è perfettamente distinguibile e Angus dimostra di essere davvero eccitato dai quasi centomila paganti. Per un fan del gruppo dire Donington significa dire Wembley per uno dei Queen o Giappone per uno dei Deep Purple.
Essendolo di tutti e tre, per me vuol dire morte.
La scaletta non regala sorprese (peccato), ma dimostra ancora una volta come, in qualsiasi decennio si sia riusciti a vederli in azione, i cinque non siano mai cambiati di una virgola: forse Angus correrà un po’ meno e Brian Johnson avrà abbassato di qualche tonalità i propri pezzi, ma la cosa incredibile è che non te lo fanno notare. Guardare in successione i loro video degli ultimi vent’anni, dallo storico concerto del 1991 a Stiff Upper Lip passando per Plaza De Toros e poi vederli nel 2010 è sbalorditivo: l’unica cosa a cambiare sono i capelli di Angus (stempiato da sempre ad onor del vero) che diminuiscono e crescono senza alcuna previsione.
Dopo le minacce di ritiro del singer di qualche mese fa, il finale, segnato dai classicissimi cannoni, dice più di tante parole: “We’ll come back Donington!! Fiiiiiiireeee!!!”
Luca Garrò