Un vento leggero che scuote la pelle; presagi di pioggia incombente sul cielo di Milano; un pomeriggio che sfugge alla quotidiana canicola estiva (ma non all’umidità padana). Questa l’impressione meteorologica con cui si apre l’ennesimo appuntamento della stagione con l’Alfa Romeo City Sound 2014, che ha visto nella serata del 20 luglio il nome degli Editors impresso a caratteri cubitali sui manifesti, e riproposto sotto diverse sfumature di pixel nelle impaginazioni approssimative sui poster venduti all’entrata dell’Ippodromo del Galoppo e sui maxi-schermi ai lati del palco.
Ma, nonostante le previsioni poco incoraggianti, una folla sempre crescente di spettatori a partire dalle 19 si è fatta avanti dai cancelli d’ingresso, andando a occupare buona parte della platea racchiusa tra il palco e gli spalti: l’afflusso di pubblico si rende già evidente attorno alle 20.30, in concomitanza con l’entrata sul palco del gruppo spalla della serata: i SIZARR. La band di Landau (Germania) ha un assetto minimale con tre membri (voce, due chitarre – tra cui una phantom di curtisiana memoria – e batteria) che si avvale di ampi riverberi per le voci e soprattutto di samples che arricchiscono i loro brani tra post-punk ed elettronica con synth e percussioni. Il gruppo regge bene l’ora di esibizione in quella che è la loro prima performance in assoluto in Italia, e lasciano gli spettatori (alcuni decisamente coinvolti) con la promessa di tornare presto nel Belpaese.
Ma bisogna attendere lo scoccare delle dieci perché il ruggito del pubblico finalmente emerga, non appena le figure dei cinque inglesi di Birmingham fanno capolino sul palco tra i fumi di scena. La sagoma di Tom Smith spicca fra le altre, statuaria nella sua magrezza, capelli tirati indietro senza il codino dei mesi passati, la barba a chiazze scambiata per delle basette ben curate, e soprattutto una coraggiosa giacca di pelle chiusa fino al collo.
Ci vorranno i primi tre pezzi in scaletta – “Sugar”, “Munich”, “An end has a start” – a fargliela togliere: e non potrebbe essere altrimenti, visti i suoi continui balzi da un lato all’altro della scena, i salti tra chitarra e pianoforte, i continui litigi col jack del microfono che per un ostinato capriccio continuava a incastrarsi tra la spia e la pedaliera – insomma, gli Editors si sono mostrati in forma dal primo secondo e sono apparsi davvero emozionati (un’immagine su tutte: le mani di Tom continuamente protese ad afferrare – e a volte trattenere – l’aria, rendendola in un qualche modo compatta).
Davvero un peccato allora dover avere a che fare con un pubblico incredibilmente poco coinvolto, che sembrava facesse davvero fatica a staccare i piedi da terra – unica nota negativa della serata, anche se non trascurabile. Naturalmente ci sono state delle eccezioni: in brani come “Formaldehyde”, e naturalmente “The Racing Rats” e “A Ton of Love”, l’intero ippodromo è saltato battendo le mani all’unisono: glorie vecchie e nuove che uniscono in uno stesso gesto spettatori che evidentemente hanno approcciato il band in fasi diverse della sua storia artistica.
Dopo una raffica – non di vento (i presagi di intemperie non si sono poi avverati), ma di riff, cori e grida – durata ben quindici canzoni, i cinque rientrano nel backstage, dal quale emergerà di lì a breve il solo Tom con una chitarra acustica in mano, per dare il via all’encore con una versione soft di “The Weight”. A questa, una volta raggiunto dagli altri membri del gruppo, seguirà una commossa performance di “Two Hearted Spider” (tra i brani più riusciti della serata); a concludere poi la triade composta da “Smokers outside the Hospital Doors”, “Nothing” e “Papillon”, che siglano così l’ennesima prestazione da perdere il fiato della band inglese.
Fotografie di Mathias Marchioni.