La serata inizia con il trio di Sardinas (Florida, 1970): un blues-rock esplosivo che trasuda energia da tutti i pori, sporco e sudaticcio quanto basta a creare quelle emozioni che solo il blues più autentico riesce a generare.
Un uso spregiudicato della sua dobro guitar, grande pressione sonora sulle pareti della Sala Sinopoli e sul pubblico che risponde con altrettanto sonora, totale, incondizionata approvazione.
Blues, comunque, anche filologico (vedi “I can’t be satisfied”), brani classici ma anche materiali originali derivati dai quattro CD all’attivo di questo artista torrenziale e dolcissimo, generoso e sapiente, animale da palcoscenico, regista di un trio (con Levell Price al basso e Bernie Pershey alla batteria) che sa passare, con disinvoltura, dal forte (fortissimo) di brani alla Steve Ray Vaughan all’intimità nostalgica di alcuni pezzi che, eseguiti in acustico, per sola voce e chitarra, ricordano le sonorità di John Martin.
Altro discorso è quello di Johnny Winter, al quale voglio tributare il mio rispetto per il passato che egli rappresenta, per le cose che ha fatto. Ma l’anagrafe è impietosa (1944), così come le sue condizioni di salute (è costretto, ormai da qualche anno, ad esibirsi seduto). Il confronto con l’allievo mette in evidenza un uomo che, provato dagli anni e dalla fatica, spesso non riesce a tenere il ritmo serrato di alcuni dei brani che lo hanno reso famoso. Non è la prima volta, e me ne duole, che mi vedo costretto a dare un giudizio negativo per artisti che tanto peso hanno avuto nella storia della musica.
Al contrario del gruppo che lo ha preceduto il quartetto di Winter, pur se composto da autentici fuoriclasse, è costretto a lavorare per quadrare la performance tremolante ed incerta del band leader.
Un’ultima considerazione: il sottoscritto, ormai alle soglie dei 50 anni, risultava uno fra i più giovani di un pubblico piuttosto senile ed acciaccato. E non so se l’emozione di rivedere l’eroe della giovinezza sia stata sopraffatta, per tanti, dalla visione di un artista che, forse, farebbe meglio a sottrarsi all’inutile stress di esibizioni dal vivo tanto deludenti.
Marco Lorenzo Faustini