Erykah Badu – Arena Civica, Milano 8 luglio 2009

 

La Diana Ross dei nostri tempi si chiama Erykah Badu o come si fa chiamare adesso Soneryka, poiché Amerykah è l’ultimo dei suoi alias. Ci sono altre donne di colore che vorrebbero essere la nuova Diana Ross, ma l’unica che potrebbe ambire a tanto è solo Hill, ed è inutile che altre, come Beyonce, cerchino di emulare l’originale DR tentando di seguire le sue tappe, dapprima con un trio – si legga Destiny’s Child – come le notorie Supremes e poi con relativo distacco con carriera da solista.
Tutto ciò ad Eryka non serve. Non basta intraprendere un percorso simile per prendere una corona.

Nei suoi testi dice che è cresciuta all’inferno ma, in questo caso, se Lucifero è un angelo decaduto lei non può essere altro che un demone trasformato in un angelo: una voce così non può essere altro che un dono divino. Le sue origini “infernali” si intravedono nelle lyrics che narrano della sua gioventù nei sobborghi newyorkesi. Insomma è di chiara provenienza hip hop ed allora uno si chiede: “Perché è stata invita al Milano Jazz Festival?”. Proprio perché lei è il collegamento di questi due mondi. Il suo soul e il suo funky sono l’inizio del ponte e i suoi vocalizzi sono quelli che la portano nell’altro genere. Dal punto di vista di un cantante la sua voce non è nient’altro che un mero strumento che esegue il suo assolo.

E’ stato un concerto che ha riepilogato i maggiori successi della sua carriera. I suoi testi denotano un accrescimento anche a livello spirituale, come la canzone “The Healer”, cioè il guaritore, dove enuncia tutte le varie religioni mondiali come a volerle riappacificare tra di loro agendo da guaritrice.Se prima faceva la bella thug, cioè bad girl,con gli anni esce l’amore di madre. Narra dei suoi tre figli avuti da due diversi compagni e si premura di render noto che amava entrambi (Andre Tremila degli Outkast noto vegeteriano e successivamente Common, entrambi rapper dai testi intellettualmente stimolanti).

”Once I prayed the God above, but now I’m filled up with so much love”, “Una volta pregavo Dio, invece adesso sono intrisa di cotanto amore “, dice nella canzone “Me”. Sempre in questo testo il tema principale sembrerebbe il puro Ego, dato che parte dello stesso dice “Quando ho dovuto affrontare un bivio se dovessi scegliere tra ho scelto me”, ma ciò che ribalta tutto e lo rende una canzone di puro altruismo è che lei vuole, entrando nella testa e nelle orecchie degli ascoltatori, imprimere il messaggio di credere in se stessi.

Da vera regina ha poi reso omaggio e le dovute condoglianze al Re rifacendo la cover di “Blame it on the boogie”e come madre sa bene cosa vuol dire la perdita del padre per tre figli. E vuoi che tra pari ci si capisce meglio. Erykah ha presentato una delle coriste dicendo che era sua sorella, ha presentato ogni singolo componente della band come leggenda della black music con relativa città di provenienza e con rispettivo assolo. Molto apprezzabile.

Ultima analogia che devo porre agli occhi degli intenditori è come Erykah emuli il grande James Brown in due atteggiamenti che ho visto sul palco. Il primo è quello di voler non solo cantare ma anche far parte del gruppo musicale in ogni performance suonando uno strumento: lei con la drum machine e lui con l’armonica a bocca o alle tastiere. Il secondo atteggiamento, a fine concerto, è quello di un assistente che le metteva un asciugamano come un mantello sulle spalle, proprio come faceva il grande JB quando usciva di scena.

In una canzone dice che il suo culo e le sue gambe son diventate grossi. Ma tutti quelli i presenti al concerto saranno d’accordo che l’unica cosa di grosso che ha è il talento.

Setlist: Amerykahn Promise; The Healer; Me; My People; Soldier; The Cell; Twinkle; Master Teacher; That Hump; Telephone; On & On; Otherside; Bump It; Danger, Back In The Day; Bad Lady; Next Life Time; Tyrone; I Want You; Dear Misery; Kiss Me; Didn’t Cha Know.

Grazie a Jonathan Manning

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