Stessa storia stesso locale: a poco più di due anni e mezzo dal tour di supporto a “Mechanize”, ecco nuovamente i Fear Factory ai Magazzini Generali di Milano, stavolta co-headliner con quel gran mattacchione poliedrico di Devin Townsend. Rispetto a quel Marzo 2010 i convenuti sono decisamente superiori per numero, nonostante un disco (“The Industrialist”) al di sotto dei loro standard e una lineup nuovamente rimescolata, che si presenta orfana di quel mostro di tecnica chiamato Gene Hoglan. Ad essere onesti però, visto che ogni paragone con Hoglan sarà sempre impietoso, c’è da dire che il nuovo arrivato Mike Heller ha svolto il suo compito senza sbavature, seppur non dimostrando gran personalità. Anche il ruolo di bassista, stavolta occupato da Matt DeVries (ex ascia dei Chimaira) al posto di quel peso massimo di Byron Stroud, viene riempito egregiamente, dando anzi quel poco di movimento in più sul palco che con Stroud era pressoché assente.
Si parlava del pubblico: sicuramente l’aver programmato un tour assieme a Townsend ha richiamato più persone di quante non sarebbero venute solo per i FF, ed è forse anche questo il motivo per cui, con circa 70 minuti di tempo a testa, la band di Los Angeles ha preferito concentrarsi su una scaletta fortemente orientata sui classiconi, dando pochissimo spazio all’ultima uscita, da cui saranno proposte solamente la titletrack e “Recharger”. Il resto del tempo è occupato dai loro cavalli di battaglia: via di scapocciate sul trio iniziale di “Obsolete”, sulla coppia “Acres Of Skin” e “Linchpin” (nella quale il pubblico si esalta particolarmente) provenienti dal disco della discordia “Digimortal” e, in chiusura, su “Demanufacture” e “Replica”. La prestazione del buon Dino Cazares è stata eccellente, colpisce sempre la scioltezza con cui dispensa riff senza perdere mai un colpo. Per quanto riguarda la prova vocale di Bell invece, promosso solo a metà: il growl è rimasto quello di un tempo, corrosivo come non mai, ma le parti pulite in cui dovrebbero sentirsi gli acuti sono un disastro. Non solo per le svariate stecche tirate, ma soprattutto per la pochissima potenza espressa (l’effetto riverbero sul microfono non è bastato a controbilanciare ciò), quasi al limite dell’udibile e in netto contrasto con la brutalità delle parti più aggressive. Nel complesso comunque, una buona prova del combo americano, che ha lasciato soddisfatti i presenti.
Avete presente quei interminabili momenti tra un gruppo e l’altro, mentre la crew smonta e rimonta le attrezzature e accorda gli strumenti? Beh, grazie a zio Devin questo non è più un problema: immediatamente dopo il termine della setlist dei FF due proiettori intrattengono il pubblico a suono di immagini e video virali (Badgerbadger e Pizza Boomerang vi dicono niente?) che hanno fatto la storia su internet. Facessero tutti così…
Ed ecco che in orario perfetto la Devin Townsend Project fa il suo ingresso sul palco: a metà tra predicatore Zen e psicopatico fuggito dal manicomio di Arkham, per tutta la durata dello show Townsend si diverte e fa divertire l’intera platea, grazie a una band di supporto dotata di grande tecnica (sugli scudi la prova dietro le pelli di Ryan Van Poederooyen) e alle sue doti da frontman davvero eccezionali: per ogni brano (eseguito brillantemente) il chitarrista di Vancouver ne ha una da raccontare, che sia una battuta pronta, o del semplice nonsense da dispensare, come quando tra un verso e l’altro di “Truth” si complimenta per la maglietta indossata da qualcuno in prima fila. Ma la cosa più importante e significativa è che in tutto questo non è mai sembrato che ci stesse provando troppo, che fosse solo una maschera di scena: Devin è così, genuino al 100%. Un concerto decisamente eterogeneo il suo, con una scaletta che ha attinto da gran parte della discografia, alternando momenti più viaggiosi (“Grace”, “Where we belong”) ad altri più pestati (“Planet of The Apes”,“Juular”). Su “Lucky Animals” il pubblico viene istruito a lanciarsi in coreografie definite dal solito Devin “imbarazzanti, ma tanto noi siamo 40enni e ce ne freghiamo, abbiamo già perso l’orgoglio”, mentre “Vampira” viene preceduta da una dedica “a quelle 8 o 12 ragazze presenti in sala, perché sappiamo tutti che questa è una sausage fest per metallari nerd”. In definitiva un spettacolo completo, in cui i momenti musicali e non si sono intrecciati perfettamente, rafforzandosi a vicenda.
Nicolò Barovier
[youtube PbyX9K7KyY0]