“Demanufacture”, il secondo album dei Fear Factory datato 1995, è una pietra miliare del metallo moderno, senza il quale molti gruppi di oggi suonerebbero in modo diverso. O non suonerebbero affatto. Ecco perché la band californiana ha deciso di omaggiare il ventennale della pubblicazione riproponendo dal vivo questa release nella sua interezza, portando in giro per il mondo il Demanufacture 20th Anniversary Tour, di passaggio per un’unica data italiana il 27 novembre 2015 ai Magazzini Generali di Milano.
Arrivo giusto in tempo per beccarmi un paio di pezzi degli Once Human e devo ammettere che è sempre un piacere ascoltare (e vedere) una bella donna che growla. La band capitanata dal chitarrista e produttore Logan Mader ha dalla sua di sicuro un’immagine molto forte, ma in breve tempo deve lasciare il testimone ai Fear Factory.
Mi ero riproposta di godermi il concerto in disparte, bevendomi un paio di birre e ascoltando/guardando per una volta con occhio critico. Ma appena attacca “Demanufacture” tutti i buoni propositi vanno a farsi benedire e mi ritrovo a scapocciare tra le prime file, al ritmo dei bassi talmente pompati da farmi vibrare il piercing al naso. Un buon inizio insomma, per una band complessivamente in forma. Il set per forza di cose non lascia spazio a chissà quali soprese, e i fan, sapendo esattamente cosa aspettarsi, alla fine di ogni pezzo acclamano a gran voce quello successivo. La tensione non cala neanche per mezzo secondo, ma si inizia a menare sul serio solo durante l’intro vagamente techno di “New Breed” e da quel momento non si smette di farlo fino alla fine. Il buon Dino Cazares è l’idolo delle folle, con la sua aria da bonaccione e la sua fida sei corde, mentre c’è da dire che Burton C. Bell arriva a fine concerto pressoché afono, ma questo particolare non va a inficiare la resa della performance in generale. Sulle note cupamente malinconiche di “A Therapy for Pain” si chiude l’omaggio a “Demanufacture”, ma i nostri ritornano alla ribalta per regalarci ancora qualche chicca più recente: “Shock” e soprattutto “Edgecrusher”, una bomba di energia a cui sono particolarmente affezionata e che posso eleggere senza dubbio a momento migliore della seconda parte del set. Ma i quattro non dimenticano “Genexus”, album pubblicato lo scorso agosto, inserendo in scaletta tre brani tratti da quest’ultimo (ottima la scelta di “Regenerate”, che è un po’ la summa di tutto quello che sono i Fear Factory: aggressività e depressione post-industriale, alternate a melodie cantilenanti, il loro trademark). Non c’è modo migliore di chiudere se non tornando alle origini, con “Martyr”, singolo estratto da “Soul Of A New Machine”, prima fatica della band risalente al lontano 1992.
Come dicevo in apertura, i Fear Factory hanno fatto la storia e non è vero che li apprezzano solo i geek in fissa con “Terminator” e “Blade Runner”. Le nostre orecchie ormai saranno abituate alle sonorità industrial/cyber/chiamatelo-come-preferite metal di cui la band è paladina assoluta, ma le lyrics intrise di rabbia ed alienazione sono forse più attuali oggi di quanto lo fossero vent’anni fa. Cento di questi giorni ai Fear Factory e al loro sound, che si meritano di celebrare (e di farsi celebrare) nel migliore dei modi, ovvero su un palco.