I Florence and the Machine si sono esibiti lunedì 18 marzo 2019 al Pala Alpitour di Torino. Di seguito il report e le foto del concerto.
Gli inglesi hanno una bellissima espressione per descrivere la totale e incondizionata apertura dei propri sentimenti: “To wear one’s heart on one’s sleeve”, letteralmente indossare il cuore sulla manica, ben in vista e allo stesso tempo alla portata di tutti gli attacchi del mondo esterno. Mostrare la nostra vulnerabilità ci terrorizza, per questo cerchiamo costantemente di difenderci ergendo caparbiamente mura alte e forti che difendano i sentimenti fragili e le ferite aperte che si nascondono sotto la superficie leggera degli abiti che indossiamo. Mostrarsi vulnerabili è un atto di coraggio e un lusso allo stesso tempo.
Lo sa bene Florence Welch, voce e volto di Florence And The Machine che con l’ultimo album “High As Hope” liscia le pieghe delle proprie maniche e ci accomoda accuratamente il proprio cuore, nudo e crudo, pulsante e vulnerabile. La carica emotiva dell’ultima release si traspone live e il carisma della cantante britannica travolge la location del Pala Alpitour di Torino per la seconda data italiana dell’ “High As Hope” tour.
Una scenografia calda, completamente in legno, otto elementi sul palco e poi lei, così eterea da non sembrare parte di questo mondo. Il tessuto altrettanto etereo del lungo vestito giallo che la avvolge lascia intravedere i piedi nudi, ormai firma inequivocabile delle performance dell’artista inglese.
Sul palco, secondo ogni aspettativa, c’è una creatura al limite tra la divinità e la fata. La fragilità dell’esile figura dai capelli rossi che si avvicina al microfono viene rimpiazzata dalla potenza vocale che i polmoni di Florence sprigionano dalle prime note di “June”, apripista di una scaletta in cui l’intimismo di “High As Hope” è protagonista e rende il live un personalissimo diario che la cantante sfoglia pagina dopo pagina davanti al pubblico del Pala Alpitour.
Da “Hunger” agli omaggi alle donne della sua vita come “Grace” e “Patricia”, dedicata all’icona della musica e musa ispiratrice Patti Smith, la scaletta si snoda attraverso i brani dell’ultimo disco che raggiungono la massima catarsi su “Sky Full Of Song” in cui voce della Welch esplode in tutta la sua bellezza. Inarrestabile, guida poi il pubblico attraverso le hit più energiche del suo repertorio come “Dog Days Are Over” e “What Kind Of Man”, scuotendo quel corpo esile e quella chioma fiammeggiante con forza e delicatezza allo stesso tempo. La sua è una voce possente che, lontana dal cantato, lascia posto a un’attitudine timida e hippie nel suo rivolgersi al pubblico invitandolo a mettere via i telefoni e ad abbracciarsi, ad abbattere barriere e a creare connessioni. È lei stessa che, rincorsa dagli uomini della sicurezza, percorre il perimetro del parterre per poi lanciarsi in mezzo alla folla, azzerando definitivamente la distanza con il pubblico, ormai libero di toccarla, di saggiare con i polpastrelli anche solo un lembo del vestito che indossa.
Vista così, consumata dagli sguardi adoranti dei fan in preda a una febbre mistica, la prima percezione del personaggio di Florence Welch è quella della divinità, dell’essere celestiale, ma stavolta preferisco pensarla come un’amazzone. La Welch è una donna terrena, una donna che lotta, che mostra i muscoli e che tende il proprio cuore in mezzo al pubblico che la venera. Le amazzoni contemporanee sono delicate, indossano vestiti lunghi e si spostano a passo di danza: sotto il tessuto leggero del suo abito i muscoli guizzano scattanti seguendo i movimenti armoniosi del suo corpo che corre su e giù per il palco. Quello stesso corpo offerto senza compromessi: prendete e mangiatene tutti. Guardate questo corpo che ha sofferto, che è sopravvissuto alle dipendenze e alla depressione. Guardate questo corpo che appartiene a una donna forte, talmente forte da scendere sotto la superficie immergendosi tra le ombre più profonde per raccontare a tutti come a 17 anni sia stata corrosa dalla fame, da confessare il proprio amore ai propri miti, da chiedere scusa ai propri amati, cadere e poi rialzarsi ora che i giorni peggiori sono passati.
Mentre il live dell’amazzone britannica si chiude con una pioggia di coriandoli che planano sul parterre sulle note di “Big God” e di “Shake It Out”, è facile realizzare come il significato delle parole “Hold On To Each Other” che hanno aperto il concerto sia diventato il fil rouge della serata. Se danzare con un demone addosso può essere difficile, tirare su le maniche e mettere in mostra i punti più sottili della pelle per lasciare intravedere le nostre debolezze può essere un’impresa ancora più dolorosa. Stasera Florence Welch ci ha mostrato tutta la sofferenza che ne deriva ma anche la bellezza che può generare. Questa sera ci siamo esercitati a scoprire i polsi e a mettere in mostra il cuore, un passo alla volta, vulnerabili in un mondo rapido e disconnesso in cui le barriere non sono soltanto fisiche. Mai come adesso abbiamo bisogno di lasciar cadere le nostre difese e di stringerci a vicenda e Florence stasera ci ha regalato la colonna sonora giusta per farlo.
Foto per gentile concessione di Alessandro Bosio