Perché non dimenticheremo facilmente Firenze Rocks 2018

Siamo arrivati a metà del Firenze Rocks 2018, la quattro giorni toscana che sta infiammando la Visarno Arena. Ed è tempo di bilanci. Non ci dilungheremo a parlare nel dettaglio di cosa sia o non sia successo (a meno che non viviate su un altro pianeta dovreste aver se non altro intravisto qualche video o letto di sfuggita qualche articolo in giro, se non eravate presenti al festival). Ma è giusto tirare le somme di due giornate a dir poco memorabili.

Partiamo con ordine. In primo luogo (oltre a la menzione d’onore a Frank Carter e la sua verticale in mezzo al pit) i Foo Fighters, headliner di giovedì 14 giugno, hanno fatto ciò che meglio sanno fare: rendere felice il proprio pubblico. Poco conta se la voce di Dave Grohl è ancora quello che è (ma per carità, è messo molto meglio rispetto alla performance preoccupante del Rock Am Ring di un paio di settimane fa). È stato comunque piacevole rivederlo in piedi (nel novembre del 2015, ultima apparizione dei Foos in suolo italico, il frontman era immobilizzato sul suo “trono di chitarre” in seguito al famoso incidente alla gamba).

La band non dà segni di cedimento, e con oltre due ore di performance e una scaletta da greatest hits pressoché inattaccabile, riesce a conquistare chiunque, dalle transenne fino ai cancelli. L’impressione che in molti hanno avuto è stata che i Nostri avessero un bisogno disperato di rimediare al “torto” di circa tre anni fa, quando il concerto torinese è stato annullato in seguito agli attacchi terroristici di Parigi, offrendo ai propri fan un calore e un’energia unici. E che sono tornati indietro a Grohl e soci con gi interessi.

Mi piace vedere proprio in quest’ottica la comparsata sul palco dei Guns N’ Roses. Un regalo in più per un pubblico affiatato e digiuno da tempo. So che sicuramente dietro c’è molto altro, ma è bello pensare a questo episodio come a una jam tra colleghi/amici improvvisata davanti a decine di migliaia di persone. Il boato esploso nel momento in cui sono saliti sul palco Axl Rose, Slash e Duff McKagan è l’episodio simbolo di questa seconda edizione del Firenze Rocks.

Facciamo un salto temporale al 15 giugno, giorno che non solo ha visto esibirsi i danesi Volbeat davanti a una folla oceanica, la più vasta che abbiano mai affrontato in Italia, ma anche, ovviamente, i Guns N’ Roses. Chi era a Imola lo scorso anno è rimasto deluso dalla condizione vocale del frontman, o dagli errori di Slash. Va bene. Ma non si può dire che sia stato un concerto scadente. Soprattutto per chi era lì per loro per la prima volta. Il fatto, molto probabilmente, è che svanito ormai l’effetto sorpresa del ritorno in Italia della formazione originale e l’entusiasmo per uno show che a tutti gli effetti è stato una bomba, era molto difficile sia replicare lo stesso livello che accontentare nello stesso modo i fan.

In ogni caso, tre ore e un quarto di concerto non se le possono permettere tutti oggigiorno. L’obiezione è che in effetti siano un po’ troppe anche per Rose e soci, dato che la parte centrale del set in particolar modo ha risentito di una certa stanchezza dovuta a quasi due anni di tour ininterrotti per tutto il mondo. Ritmi che ucciderebbero anche un ventenne. Ma un concerto dei Guns N’ Roses è qualcosa di imprescindibile per gli amanti del rock. Per chi va oltre le apparenze, i chili di troppo, le pose, i personaggi scomodi e la mancanza di “Don’t Cry” in scaletta (compensata da una splendida versione di “Patience”). Per chi gode con i visual, le esplosioni, i fuochi d’artificio e tutte le tamarrate che i solo i Guns e pochi altri riescono a tirare fuori dal cilindro rimanendo comunque credibili.

Un rito collettivo, una celebrazione di una musica e uno stile di vita che di adepti nel mondo ne ha molti di più di quanto vogliano farci credere. L’unica cosa che mi spaventa, quando penso al futuro, è chi mai raccoglierà questa eredità? Ai posteri l’ardua sentenza, intanto godiamoci quello che abbiamo, senza troppe polemiche, che è un vero e proprio dono del cielo soprattutto in un periodo in cui di miracoli ormai se ne vedono davvero pochi.