Goat, il report del concerto di Milano del 7 maggio 2015

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Si dice che il diavolo faccia le pentole ma non i coperchi. A riempire il calderone con la loro nutriente zuppa a base di world music, acid rock, afrobeat e suggestioni voodoo, poi, ci pensano i Goat, in tour col loro secondo eccellente lavoro, “Commune”.

Li abbiamo visti giovedì 7 maggio 2015 sul palco del circolo Magnolia di Segrate (Milano), seconda delle quattro date italiane in programma per la band svedese, dove si sono presentati con il consueto carico di piumaggi, mistero e sostanziose bizzarrie rock’n’roll, appagando alla grande le attese di un pubblico devoto e numerosissimo.
Ad aprire le danze, sempre per rimanere in metafora ovina, i Mamuthones, progetto solista di Alessandro Gastaldello (ex-batterista e fondatore dei Jennifer Gentle), in grado di scaldare la platea con le ritmiche ossessive e le sonorità acide del suo ultimo “Collisions 04”.
Dopo un veloce cambio palco, puntuale sulla scaletta di marcia arriva la volta dei Goat: la formazione è quella classica, in sette sul palco, tutti rigorosamente mascherati. La band di Korpilombolo (due chitarre, basso, batteria e djembe) attacca con “Words” una scaletta di dodici pezzi, tratti in egual misura dal primo lavoro “World Music”, così come dall’ultimo “Commune”. Un breve tappeto strumentale prepara il terreno per l’ingresso in grande stile delle due vocalist. Eccole, in tunica e maschere regalmente incorniciate da una corona di piume, impossessarsi dell’altare da cui officeranno un rito collettivo capace di trasportare il Magnolia a distanze siderali da dove le mappe lo danno comunemente ubicato.

“The Light Within”, secondo brano in scaletta, anticipa il primo salto nel passato con “Let It Bleed”, ma a scaldare gli animi è il dittico “Disco Fever”/“Hide From The Sun”. Il rischio di cadere nel grottesco è davvero dietro l’angolo, ma al contrario l’ottima gestione del palco da parte delle due assatanate frontwomen, capaci di muoversi sul filo del rasoio tra il serio e il faceto, offre uno spettacolo intrigante e coinvolgente.
I pezzi vengono inanellati uno dopo l’altro senza soluzione di continuità in un’atmosfera che si fa via via più bollente. “Talk To God”, “Goatlord” e “Goatman” sgorgano con ammaliante potenza dalla fonte dei Goat ed è impossibile non attingervi. L’ossessivo groove di “Run To Your Mama” è l’ultimo atto prima dell’encore, chiamato con una vera e propria ovazione da una platea ormai in visibilio.

Rientrato in scena il gruppo suona “Gathering Of Ancient Tribes”, uno dei pezzi più carichi dell’ultimo album, seguito da un’esecuzione esplosiva della meticcia “Golden Dawn”, uno dei pezzi più esaltanti del live, nonché della produzione della band scandinava. Insomma si “cavalca il serpente” con questo trittico finale, fino alle ritmiche serratissime e alle chitarre lisergiche di “Goatslave”, posta in chiusura (save the best for last) di un rito collettivo dal quale usciamo liberati, diversi.

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