Sabato 2 giugno
La performance dei Glyder non fa strappare i capelli a nessuno, un hard rock stradaiolo, sincero, allegro, presentato con grande buona fede da musicisti non certo troppo dotati di verve e carisma, qualche saltello ce lo strappano comunque.
Gli Eldritch sono una garanzia, arrivano, spaccano tutto e bestemmiano con grande professionalità. Il ricercato progressive metal di un tempo ha passato il testimone a un power metal di stampo americano molto trascinante, molto ben suonato con un Terence Holler che sa come controllare il pubblico. Promossi, come sempre.
A volte ritornano, ed è un male… se i gallesi Tigertailz erano ascoltabili (quanto inutili) su disco, dal vivo, almeno stando allo show di oggi, sono indecenti. Vecchi ormai bruciati vestiti in modo tamarro, il concerto fortunatamente scorre fra un base registrata e un plagio ai Def Leppard d’annata.
La cover band ufficiale dei White Lion era attesa con una certa preoccupazione viste le insistenti voci sull’indecente condizione vocale di Mike Tramp e l’assenza di tutti gli altri membri della band. Il buon Mike invece si presenta in ottima forma, certo, gli anni sono passati, ma il nostro c’è, soprattutto fisicamente, e la nuova band è quasi all’altezza del compito, peccato che il chitarrista non riesca in alcun modo a farci dimenticare il tocco vellutato e preciso di Bratta. Tramp se ne frega e sciorina tutti i mega hit che hanno reso famosa la sua band nel tripudio del pubblico e con volumi degni dei Manowar.
I Thin Lizzy sono la seconda cover band della giornata. Marco Mendoza al basso, Tommy Aldridge alla batteria, John Sykes voce e chitarra, Scott Gorham chitarra solista. Si può chiedere di più da una cover band? No. La voce di Sykes è praticamente identica a quella del mai troppo rimpianto Lynott e i brani sono quelli, immortali e meravigliosi. Purtroppo durante la loro esibizione il tempo volge al peggio, inizierà infatti una pioggia fitta che durerà fino a notte inoltrata.
Gli Scorpions vanno a tavoletta, portando sugli scudi anche qualche nuovo brano dell’ottimo “Humanity Hour 1”. Ovvio che ci si sciolga per “Still Loving You” e ci si sbatta per “Rock You Like A Hurricane”, ma l’impressione generale che Meine e soci hanno lasciato oggi è quella di essere una band ritrovata e ancora vogliosa di spaccare sul palco. Grande ovazione del pubblico fradicio, loro ringraziano e promettono di tornare presto, magari in una serata da headliners!
S.D.N.
Vicissitudini varie mi portano all’Idropark quando gli Scorpions hanno appena concluso la loro esibizione e l’uragano Hugo ha appena reso il parterre come il campo da calcio del primo Fantozzi. Passato il rammarico per aver sfiorato il combo tedesco, anche alla luce del recente “Humanity Hour One”, inizio ad attendere i Velvet Revolver, da molti considerati la versione attuale migliore dei Guns ‘N Roses. E’ brutto da dire, ma la platea è proprio composta da fans del vecchio gruppo di Slash e sentire proprio il guitar hero parlare di reunion a ridosso del nuovo album dei Velvet, fa pensare che il pubblico non sia l’unico ad avere nostalgia…La set list è composta dai brani di “Contraband”, primo album del gruppo, con l’aggiunta di qualche anteprima dalla nuova release “Libertad” come la bella “Get Out the Door”, qualche rimando grunge agli “Stone Temple Pilots” e naturalmente qualche spruzzata di Guns, anche se solo per un paio di pezzi. La risposta del pubblico è ambivalente: a volte appassionata e vigorosa, altre quasi inesistente, al limite della noia. Scott Weiland fa tutto quello che può e lo fa anche bene, ma spesso sembra pretendere troppo da un pubblico che comunque non è lì solo per lui, ma che anzi spesso chiude gli occhi sperando di riaprirli e trovare Axl. Chicca della performance senza dubbio “Wish You Were Here”, suonata da uno Slash in grandissimo spolvero e vera sorpresa della serata. “Mr Brownstone” e la conclusiva “It’s So Easy” fanno guadagnare punti al singer, che in alcuni tratti si avvicina davvero al timbro del Grande Assente, ma nel fango dell’idropark la parola che più volte viene udita è ancora reunion.
Le energie sono ora tutte rivolte verso i Motley Crue, mattatori della seconda serata al Gods Of Metal 2005 e attesi da migliaia di fans, rientrati in fretta per godersi gli headliner della serata. Lo show è annunciato come più improntato sulla musica e meno sulle trovate sceniche ed effettivamente, al di là della tamarrissima batteria di Tommy Lee, il palco sembra fin troppo scarno per essere quello dei Crue. Ricomincia a piovere, ma l’inizio di “Dr Feelgood” e i fuochi d’artificio che l’accompagnano fanno dimenticare a tutti il freddo e la giornata disastrosa. Da qui in poi inizierà un greatest hits continuo, col pubblico completamente rapito dal carisma di Nikky Sixx e soci. Proprio Sixx sembra il più in palla: fisico asciutto, gran voglia di fare casino e di intrattenere la folla, mentre il suo basso sembra non fermarsi mai. Anche Tommy Lee è in forma smagliante e si diverte da matti ad aizzare il pubblico prima facendo entrare la bonazza di turno semisvestita e poi iniziando a bestemmiare in italiano scatenando il finimondo nella fanghiglia e sui quotidiani del giorno seguente.
I due che, almeno alla vista, sembrano averla pagata di più sono Mars, per i ben noti guai fisici e Vince Neil, il cui addome cresce ormai in maniera esponenziale alle esibizioni del gruppo. Dal punto di vista dello show, però, nessuno dei suddetti problemi è di intralcio, tanto che il chitarrista regala gemme a non finire ed il singer appare come ai tempi d’oro. Le perle ci sono tutte, da “Home Sweet Home” a “Kickstart My Heart”, passando da “Same Old Situation” e “Live Wire” senza dimenticare “Girls Girls Girls” e “Louder Than Hell”. Il tutto si chiude con “Anarchy In The Uk” cantata all’unisono da un pubblico completamente rapito…Ed ora aspettiamo il nuovo album!
L.G.
Domenica 3 giugno
DGM deludono e parecchio. Ormai i nostri pare abbiamo rinunciato al pizzico di personalità che dimostravano ai loro esordi (ok, c’è tutt’altra gente in formazione, ma non vale come scusa), per attaccarsi al carrozzone (?) dei Symphony X. Persino Titta Tani si riduce a emulo di Russell Allen! Tanto di capello, per carità, ma qual è il senso di ascoltare remix di una band che salirà sul palco da lì a poco? Oltretutto la presenza sul palco è più che anonima, alla fine ci lasciano annoiati e infastiditi.
Gli Anathema non c’entrano nulla col Gods Of Metal, ma a loro non importa, forse nessuno gliel’ha detto. Salgono sul palco, con il sole a picco e, nonostante tutto, creano un’atmosfera magica, eterea a tratti psichedelica creata dal loro rock dilatato. La cover di Confortably Numb è sicuramente uno dei momenti più esaltanti del festival. Tanto di cappello per i ragazzi inglesi che, dopo lo show, si metteranno pure a girare per l’arena, scambiando commenti e facendo foto assieme ai loro fan.
Russel Allen è uno dei migliori cantanti in circolazione, purtroppo continua ad accompagnarsi a una band a mio avviso inutile (i Symphony X, ndr). La proposta era fica e cazzuta una decina d’anni fa, oggi, dopo estenuanti ripetizioni all’infinito dei soliti solo neoclassici, delle estenuanti fughe di chitarra e tastiera e di un rifferama scippato un po’ a Malmsteen, un po’ ai Pantera e alla luce di una staticità più che eccessiva sul palco, francamente, non li reggiamo più. Allen traina la baracca, è lui che si agita, si muove, tiene il pubblico per le palle, gli altri al più dei gregari o dei bastoni fra le ruote, per come la vedo io.
Dark Tranquillity, ovvero la band tappabuchi numero uno in Italia. Niente da dire, precisi, professionali, in palla. Sicuramente però li abbiamo visti troppe volte per non accorgerci che i loro concerti sono tutti esattamente uguali. Esaltanti le prime volte, un po’ noiosi poi. A questo si aggiunga che Stanne non regge ormai oltre i primi 3 brani e che la lemmizzazione della sua voce è un dato di fatto. Comunque riescono a divertire, si sbattono e in confronto a delle mummie come i Symphony X sembrano quasi gli Ac/Dc!
Che dire dei Dimmu Borgir se non che sono inutili? Oh, anche loro sono professionisti, sanno suonare ed eseguono i loro brani vestiti di nero dalla testa ai piedi e con il sole a picco, però, perdio, a me non interessa quanto sei grim e quante croci rovesciati ti attacchi al cappotto di pelle. Siamo a un festival musicale, suona, voglio rock’n’roll, fammi saltare, fammi divertire, porta nani vestiti da demoni sul palco, vampire, ballerine, donne nude, dai almeno fuoco a qualcosa o qualcuno. Dammi, insomma, un motivo per star lì a guardarti, perché altrimenti faccio prima a chiudermi al buio e sentirmi i cd in cuffia.
I Blind Guardian vengono acclamati più del papa quando si affaccia a San Pietro. Purtroppo Hansi Kursch ha lasciato la voce a casa, cioè, più del solito intendo. Oltre a essersi ulteriormente imbruttito (si, anch’io pensavo che non fosse possibile… ) prima di intonare in modo decente qualcosa ha bisogno di massacrare 3-4 brani. Per il resto una grande esibizione da parte di una grande band. Il nuovo batterista è un’autentica macchina da guerra e non mi ha fatto rimpiangere per niente il pur bravo Thomen. Hansi stesso, sguaiato, stonato, brutto e un po’ frescone per le perle in italiano che è riuscito a dire, si fa perdonare, perché ci crede e perché è lì per dare il cuore al pubblico.
Ero curioso di vedere i Dream Theater nel contesto di un festival, dopo averli visti forse troppe volte come headliner. Loro arrivano e annunciano candidamente che suoneranno tutto Images And Words. Cosa chiedere di più?
Complimenti a loro che sanno capire le situazioni, che sanno ancora giocare, divertirsi. Oltretutto il disco viene eseguito con variazioni, improvvisazioni, riarrangiamenti. Certo, vale un po’ lo stesso discorso fatto per i Dimmu Borgir, lo sappiamo che siete bravi, fate un po’ di scena… e invece ci troviamo un Petrucci agli steroidi, pronto per entrare nei Manowar (o nel mondo del Wrestling) e un LaBrie che più di tanto non è mai riuscito a fare, come presenza intendo, perché come voce è definitivamente resuscitato.
Heaven And Hell, ovvero carisma, classe e brani immensi. Da loro ci si aspettavano faville e nonostante i sessantanni e gli acciacchi non hanno deluso minimamente le aspettative, nonostante qualche folle avesse sbagliato tutto con volumi e suoni.
A lasciare veramente a bocca aperta è il pubblico che canta i riff, gli assoli, le strofe, gli stacchi di batteria e, non pago, incita i nostri in ogni momento di pausa. Scene di isteria sul finale, quando Iommi getta manciate di plettri alla folla, c’è chi cerca anche solo di toccarne uno per avere la salvezza da tutti i peccati e il paradiso assicurato… toccare la sua chitarra, lo sappiamo, rende immortali e fa crescere i baffi.
Commento finale: Reparto Geriatrico 10 – Giovani Promesse 0
S.D.N.
Credo che quella del 2007 sia una delle bill più grandi degli ultimi anni del Gods Of Metal. Anche la seconda sera ha visto la parte conclusiva dello show in mano a due dei gruppi che hanno fatto la fortuna di un intero genere: Dream Theater e Heaven And Hell, ovvero i Black Sabbath nella line up con Dio alla voce.
Se il gruppo di John Petrucci ci ha abituato ad una presenza massiccia sul suolo italico, ben diverso è il discorso per Iommi e soci, attesi quindi come i bambini attendono il Natale.
L’ultima uscita dei Dream Theater aveva diviso i fan, mentre il nuovo album sembra aver riconquistato chi aveva trovato troppo macchinoso e di maniera il precedente “Octavarium”. A sorpresa, James LaBrie annuncia che, per festeggiare i quindici anni dall’uscita, il gruppo suonerà per intero “Images And Words” e da quel momento ha inizio il delirio. Nessuno si aspettava un regalo del genere, tanto che in nessuna intervista il gruppo aveva accennato a tale progetto. Ogni pezzo viene accompagnato da boati, intervallati a silenzi quasi religiosi. Tecnicamente i nostri hanno pochi rivali al mondo (e non lo scopro certo io oggi), ma troppo spesso la sensazione è che siano un po’ distanti da un pubblico che li segue fedelmente da quasi vent’anni e che mai ha fatto mancare il sostegno ai propri beniamini…Ma queste sono impressioni personalissime.
Concluso l’album capolavoro l’attesa per gli Heaven And Hell inizia ad essere insistente.
Se dodici mesi fa mi avessero detto che Iommi, Butler, Dio e Appice avrebbero suonato ancora insieme, mi sarei messo a ridere. Delle mille line up post-Ozzy, l’unica che per i fan ha avuto davvero un senso è stata quella con Ronnie e il tour intrapreso pochi mesi fa da la sensazione di un grande regalo, nonché di un ultima possibilità.
Il palco raffigura un’antica abbazia e l’intro iniziale, seguito da “The Mob Rules” ci scaraventa direttamente negli anni ottanta: Ronnie ha sessantacinque anni, ma sembra indemoniato, Butler e Appice sono macchine da guerra, Iommi è Dio. E’ difficile spiegare cosa possa portare un essere umano a fissarne un altro per oltre due ore, ma con Tony Iommi la cosa naturale: è uno dei musicisti più influenti del secolo scorso, nonché uno dei chitarristi con più gusto sul pianeta.
La scaletta è da lacrime di sangue e la Chiesa dovrà verificare decine di guarigioni inspiegabili: cantiamo “Children of the Sea” e dobbiamo riprendere fiato per “I”, ci esaltiamo con “Die Young” e con la stupenda “Shadow of the Wind”. E’ un susseguirsi continuo di emozioni e di ricordi, ogni pezzo è affrontato dal gruppo con un’energia inimmaginabile e ogni nota di Dio è accompagnata dalle immancabili corna, che il pubblico restituisce quasi devoto. La conclusione di “Computer God” ci conduce ad “Heaven And Hell”, il cui riff scatena letteralmente l’inferno e viene urlata dall’inizio alla fine da migliaia di persone. Uno dei momenti più esaltanti della mia vita. “Neon Nights” conclude degnamente il concerto migliore visto finora in Italia quest’anno.
L.G.
Photos powered by Metallus.it