Hugo Race ha fatto tappa anche a Bologna nel suo minitour italiano. Artista di culto, personaggio carismatico quanto disponibile, si è esibito al Chet’s Club, microscopico ma accogliente club di via Polese, con gli italianissimi Sacri Cuori, trasformati in The Fatalists . Il locale è piccolo e quindi l’affollamento, dopo l’elettronica un po’ fuori contesto del gruppo di apertura, raggiunge presto livelli da anossia quando il dinoccolato Hugo sale sul palco, preceduto da due suggestivi strumentali alla Calexico con la chitarra twang di Antonio Gramentieri in evidenza. E’ musica a tutto tondo, di evidente matrice blues che cerca il suo spazio, spargendosi in molteplici direzioni. Peccato che un suono fatto per i cieli aperti e il deserto sia costretto al chiuso, ma ai fans ben disposti e calorosi fin dall’inizio, questo poco importa. Race esprime un rock vellutato e sotterraneo, ben assistito dalla sua band (Diego Sapignoli, batterista dalle efficaci soluzioni ritmiche e l’imperturbabile bassista Francesco Giampaoli ne sono l’anima) con la quale è evidente l’affiatamento. Ripercorre quasi tutto il nuovo album “We Never Had Control”, con la sua voce profonda e venata di malinconia, tra scansioni di stampo waitsiano, rotolante rock and roll (“No Stereotype”)alternato a ballad intimiste, senza rinunciare ad una misurata leggerezza pop. Pezzi che partono in sordina per trasformarsi in cavalcate elettriche, tra sferzate di ritmo e chitarre-rasoio (“Dopefiends”), come non muovere il piedino? E infatti non sono pochi coloro che si fanno trasportare da questa psichedelia ipnotica (“No Angel Fear to Tread”, “Shining Light” ), irresistibile richiamo di una musica che affonda le sue radici nel passato ma riesce ad essere molto contemporanea. Sonorità vintage e predisposizione all’imprevisto (quando parte una corda già al secondo pezzo, è lesta la riparazione) sono le caratteristiche del rock virato al folk di Race, che sa di vento e di sabbia, di solitudine e di speranza, mentre lui snocciola i suoi racconti su questo pazzo mondo che può essere salvato solo dal “power of love”. C’è spazio nel bis per una bella versione, saltellante, di “I’ m On Fire” del boss Springsteen. Per il resto tutto materiale originale, e di marca. Una bella serata, e quando si esce in una Bologna lucida di pioggia le emozioni rimangono a lungo.
Paolo Redaelli
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