Anche questa seconda giornata di I-Days è andata, con presenze raddoppiate rispetto a giovedì 15. Siamo solo a metà dell’incredibile maratona musicale che popola il parco di Monza fino al 18 giugno, ma la voglia di altre vibrazioni positive fortunatamente mette in secondo piano i piedi gonfi e il mal di schiena.
Santa Margaret, Ex-Otago, Michael Kiwanuka, James Blake e Radiohead hanno deliziato i fan accorsi al Parco di Monza con un pomeriggio all’insegna della buona musica.
I top e i flop della seconda giornata
di Michelangelo Paolino
TOP
Gli stand degli sponsor
Quando la voglia di svenire sta per prendere il sopravvento, ricordati dell’angolo dedicato agli stand degli sponsor e avrai salva la pelle. Sdraiato sotto l’ombrellone colorato di una nota marca di caramelle, ho vinto la fatica grazie agli omaggi gentilmente offerti dalla casa in cambio di un selfie con un orsetto gigante.
Voce nera
Quando Micheal Kiwanuka è salito sul palco degli I-Days, la sua band era già al completo ad aspettarlo, così come buona metà del pubblico presente. Il cantante di “Love & Hate” non ha deluso le aspettative grazie a una performance tecnicamente ineccepibile. Il graffiato tipicamente black di Michael ha convinto tutti, mentre il resto lo fa la band formidabile alle sue spalle. Personalmente rivedrei le prolungate escursioni strumentali che in alcuni punti hanno messo in secondo piano il cantato dell’artista londinese.
Thom Yorke
Il terzo TOP ha un nome e un cognome precisi: THOM YORKE. Dal primo istante in cui ha messo piede assieme alla band, il leader dei Radiohead ha rapito oltre 60.000 paia di occhi, senza lasciarli andare per due ore abbondanti. Poche parole tra un pezzo e l’altro, Thom e i Radiohead vanno avanti a testa bassa. A distanza di 9 anni dal loro ultimo live milanese, la band inglese che quest’anno festeggia i vent’anni di “OK COMPUTER”, ha regalato a tutti i loro fan uno show che difficilmente dimenticheranno. Nella doppietta finale “Creep”/”Karma Police” ammetto di aver peso ogni dignità.
FLOP
I simpatici scioperi ATM
Per la serie #maiunagioia, tutti coloro che ieri sono stati agli I-Days hanno dovuto far fronte allo sciopero dei mezzi pubblici milanesi. Ovviamente ero l’unico a non saperlo in anticipo, ma poiché per la prima volta in vita mia sono riuscito a partire da casa con largo anticipo, non mi sono perso nessuno dei fantastici set in programma.
Problemi tecnici
Ex-Otago, Michael Kiwanuka e James Blake, durante le loro esibizioni agli I-Days, hanno dovuto far fronte a dei piccoli intoppi di natura tecnica che, per fortuna, non hanno condizionato le performance. In pochi minuti i tecnici audio hanno risolto l’intoppo e tutto è proseguito nel migliore dei modi.
Token 2, la vendetta
Più dei tantissimi km da percorrere per arrivare al palco, più dei prezzi gonfiati dei parcheggi, la vicenda token è, a mio parere, la grande nota stonata degli I-Days 2017. Ricordando brevemente che per token s’intende un gettone di plastica che l’organizzazione ha imposto come moneta unica all’interno dell’area concerti (per comprare qualsiasi cosa, anche se costa un solo token, devi acquistarne minimo 5 al costo di 15€), ieri ho scoperto che non si accettano i gettoni avanzati del giorno prima. Ergo a me che pensavo di poter conservare qualche gettone per dissetarmi nei giorni successivi al primo, è stato carinamente consigliato di comprarne altri validi per quella giornata. Altri 5 token di colore diverso dai miei, al costo di altri 15 euro. Mi sembra di sognare…
>> Qui i top e flop della prima giornata
Il report del concerto dei Radiohead
di Daniele Corradi
“Daydreaming” è il pezzo perfetto per iniziare un concerto dei Radiohead ed è stato perfetto ieri a Monza, dove 55.000 persone hanno staccato la spina della realtà e sono entrati nel mondo onirico di Thom Yorke e soci. L’impressione che regala un concerto del gruppo britannico è quella di una completezza artistica che pochi altri possono offrire, e il modo migliore per rendere e raccontare questa esperienza è di fotografare alcuni momenti tra i più coinvolgenti.
Il palco è mastodontico, la presenza del pubblico è da grande evento, le luci e la regia degli schermi è anch’essa un’opera d’arte, mai banale, sempre a supporto dello show e mai una mera riproposizione di immagini (abbiamo ancora dietro gli occhi le orrende animazioni dei Guns N’ Roses a Imola). Il tutto concorre a creare un’atmosfera sospesa da grande evento che penetra sotto pelle a tutti i presenti, da quelli sotto al palco a quelli meno fortunati e vittima delle vicissitudini (organizzazione concerto, malino, sciopero dei mezzi a Milano, malissimo) che sono stati relegati nelle retrovie. Il suono si presenta subito all’altezza di una band che fa dei particolari e del perfezionismo tecnico ed espressivo come suo punto di forza. Pulito, chiaro e potente, nessuno si è perso una sola nota o una sola parola di Tom, in nessun angolo dell’Autodromo di Monza.
Momenti, dicevamo, istantanee di un’emozione unica ma sfavillante di mille luci come i lustrini di un vestito da sera, o come le mille fiamme che il sole al tramonto colora sulle increspature del mare mosso dalla brezza. La cosa che subito mi ha impressionato è l’energia che sprigionano i Radiohead live, non solo nei pezzi veloci. Anche le ballate, le loro meravigliose melodie emanano una tensione emotiva che non ti permette mai, nemmeno per un secondo, di rilassare quei muscoli che si tendono quando provi qualcosa di potente. Ho visto intorno a me queste emozioni muovere la gente, li ho guardati reagire, e ho capito che poche band al mondo possono far nascere nei loro fan una gamma così larga di esperienze interiori, di esplosioni emotive così tanto diverse da loro, in una finestra temporale di un paio d’ore che può valere una vita.
Ho visto “Daydreaming” entrare serpeggiante sotto pelle, attivare gli interruttori giusti per creare i presupposti di un’apertura totale dei presenti al concerto, aprire le porte dell’esperienza. “Full Stop” picchettare gli ultimi mattoni intonacati di quei pochi ancora resistenti e scettici, il primo tributo al ventenne “Ok Computer” con la bellissima “Airbag”, dove Yorke ancora freddo di voce si destreggia egregiamente, tutto sommato. La sua voce poi si scalderà e diventerà la solita sirena suadente e indemoniata, che ha solcato il vinile della nostra vita e ormai fa parte di noi.
Il terreno intorno a me ha cominciato a farsi polveroso man mano che i presenti hanno perso totalmente il contatto con la realtà e con la coordinazione corporea, con il giro di basso di “National Anthem” che ha trasformato l’Autodromo in una discoteca gigantesca, dalle atmosfere quasi da Rave, e così la allucinogena “Everything In It’s Right Place” e l’onirica “Idioteque”. Momenti di attonita bellezza hanno poi disteso i nervi con la successione di diamanti musicali quali “All I Need” e “Arpeggi”, o la nuova (che nuova non è, leggere la recensione di “A Moon Shaped Pool” per dettagli) “The Numbers”.
Ma è con i numerosi tributi all’album del 1997 “Ok Computer” che l’emoziometro del concerto è impazzito e andato fuori scala. Alle prime note di “Exit Music (For a Film)” è successa una cosa che raramente ho visto ad un concerto. Il vociare classico del concerto da Festival, le chiacchiere da bicchiere, le lamentele sull’organizzazione sul lavoro e sulla famiglia, qualsiasi rumore si è spento. Sembrava la celebrazione di un caduto, un momento di sospensione come pochi ne ho vissuti. Non volava una mosca, tutti, ma dico tutti rapiti dalle note e dalla voce di Thom. Davanti a me un ragazzo è stato investito da chissà quali ricordi ed è scoppiato a piangere a dirotto, consolato dai suoi amici in un tentativo privo di speranze. La musica è anche questo, un dito gigantesco che preme i tasti di avorio dei nostri ricordi e li fa suonare con una prorompenza assordante impossibile da spegnere e ignorare.
“Paranoid Android” è generazionale, e le immagini del suo assurdo video animato sono scorse nelle menti di tutti, mentre cantavamo a squarciagola quel fantastico ritornello, in un pezzo che è la trasposizione in musica della nostalgia, dove quel sentimento così pesante e oscuro si trasforma chissà come in bellezza senza tempo.
Appuntamenti con la storia in abito da sera ancora con una stupenda “No Surprises“, che non vista nella scaletta del concerto di Firenze aveva messo tutti noi in apprensione, ma eccola arrivare con le sue note armoniche e la sua melodia senza tempo. Con la dolcissima “Fake Plastic Trees”, cantata come se non ci fosse un domani da tutti i presenti.
Ospite d’eccezione della serata un pezzo inaspettato, quella “Creep” che abbiamo sentito innumerevoli volte ma che come tutti i classici del rock, ogni volta che le sue note penetrano dalle orecchie fino al cervello, è come se fosse la prima volta. Qui gli anni ’90 erano lì ad un passo, e gli occhi di chi li ha vissuti si sono riempiti di lucide immagini di momenti e persone andate chissà dove, chissà quando, in chissà quale universo.
Le note di pianoforte, notissime, portano alla canzone finale “Karma Police”, che porta il livello nostalgico al massimo, la musica che si fonde ai ricordi delle immagini di un’ennesimo video capolavoro dei Radiohead, quella macchina che nella notte insegue inesorabile la sua vittima illuminata dai fari, con quei sedili di pelle rossa sui quali siede un malinconico Thom Yorke.
L’esperienza artistica del concerto di ieri sera è stata totale, avvolgente, unica. I Radiohead sono uno dei gruppi che riesce a premere più tasti emotivi in assoluto, che ti trasportano in più posti della mente e del cuore ed in più momenti. Un concerto che stanca i nervi come una litigata furiosa, un’amore incontrollato, un eccesso di risate in un posto dove devi fare silenzio. Se provi a resistere, è peggio. O Meglio. In questa dolce tortura che è la musica.