Con il concerto a Trieste del 26 luglio 2016, gli Iron Maiden hanno concluso la mini leg italiana del Book Of Souls World Tour. Scaletta consolidata e consueto entusiasmo da parte di band e di tutti i presenti. Dopo i 10mila del Forum di Assago, i 18mila del Rock In Roma, sono arrivati i quasi 15mila di Piazza Unità d’Italia. In totale oltre 40mila persone hanno quindi assistito al ritorno della band di Steve Harris nel nostro paese.
Certamente un successo, considerando anche i 35mila della data unica a Rho nel 2013 e gli oltre 20mila di Bologna del 2014. In molti parlano di nuova giovinezza per i Maiden, specialmente considerando il fatto che il singer Bruce Dickinson appena un anno fa stava lottando per sconfiggere un tumore alla lingua.
In realtà, la seconda giovinezza degli Iron è iniziata nel 1999, nel leggendario Ed Hunter Tour, evento che riportava in line-up Bruce e Adrian Smith e dava il via a una serie di album di successo. Che poi a molti vecchi fan questa nuova fase in studio, inclinata verso il progressive e un’epicità debordante, sbilanciata su canzoni lunghissime e molti meno anthem immediati (fatta eccezione ovviamente per “The Wicker Man” del 2000) rispetto al passato, non sia affatto piaciuta non è un problema degli Iron. Iron capaci di riaffermarsi a livello mondiale come forse successo solamente negli Ottanta.
Tutto questo mega pippottone iniziale per arrivare al dunque. La serata di Trieste ha coinciso con la mia ventesima partecipazione a un concerto loro. Sono passati 21 anni (dio mio) dalla prima volta che vidi i Maiden su un palco.
(1, 2, 3) Nel 1995 infatti, invasato e gasato a livelli indescrivibili (avevo quindici anni e li ascoltavo bene o male da 4 anni, non ci stavo dentro più insomma), mi sparai la data di Milano (eravamo al Palatrussardi, ancora si chiamava così) di fine novembre. Nel pomeriggio andammo (sotto l’acqua) a stalkerizzare il nuovo arrivato Blaze Bayley sotto Rock FM (sempre sia lodata), alla sera ci spaccammo allo show, aperto tra l’altro dagli Almighty (mica pizza e fichi) che avevano pubblicato quella figata fotonica di “Crank”. A dire il vero non mi ricordo molto, se non che Blaze se la cavò egregiamente e che il pubblico era bello preso (anche se il palazzetto era lontano dall’essere sold-out). Alla fine “The X Factor” era stato accolto bene, nonostante parve da subito evidente a tutti che il buon Bayley non avesse l’estensione giusta per cantare i grandi classici. Riuscii a farmi portare (santo Padre) anche a Firenze prima e Montichiari poi a inizio 1996, ma non ho particolari ricordi relativi a quelle serate se non che furono due bei concerti.
(4) Nel 1998 invece il tour fu un mezzo flop. “Virtual XI” era veramente brutto (anche se ovviamente ne conosco ogni singola nota tuttora), il palazzetto di Milano era pieno a metà e la prestazione complessiva dei Maiden fu piuttosto fiacca. Ciò che salvò la serata in quel di maggio fu la presenza degli Helloween di “Better Than Raw”, autori di un concerto stratosferico e pestatissimo.
(5) Nel 1999 accade quello che qualsiasi fan avrebbe voluto accadesse. Rientrano nella band Bruce Dickinson e Adrian Smith, la scusa del tour per presentare il (terribile) videogioco Ed Hunter è anche l’occasione per programma una scaletta DA URLO. Il best of definitivo, praticamente, che aprì le porte alla nuova era. Il Bruce gracchiante (che a me piaceva comunque a priori) dei primi anni Novanta è solo un ricordo. “Aces High” in apertura bastava e avanzava a dimostrarlo. La data del 23 settembre 1999 ad Assago rimane a oggi il miglior concerto a cui abbia mai assistito in vita mia. Un palazzetto colmo come forse nemmeno è immaginabile (giuro, c’era gente attaccata alle transenne degli spalti e nei corridoi di accesso al parterre che non riusciva a muoversi) andava in delirio già dall’apertura dei Megadeth (altra mia band della vita su cui un giorno forse scriverò un pezzo simile relativo ai live a cui ho assistito), orfani di Nick Menza ma con ancora Marty Friedman alle chitarre. Mustaine aveva da poco pubblicato il terrificante “Risk”, ma dal vivo la sua band rimaneva una macchina da guerra. Il frastuono che accompagnò l’inizio con il nastro di “Transylvania” e il Churchill Speech è qualcosa di difficilmente spiegabile a parole. Il pubblico gridava talmente tanto da coprire Bruce e band stessa. Certo, c’erano anche le teste di cazzo che puntando il laser negli occhi a Bruce lo fecero incazzare a tal punto che minacciò dopo 4 pezzi di andarsene nei camerini. Ma il concerto fu una figata stratosferica.
(6) Nel 2000 esce “Brave New World” e il metallo inizia a riconquistarsi lo spazio che merita anche nelle chart. Tra nu-metal, crossover e post-grunge, il ritorno dei Maiden venne accolto come il segnale di riscossa per generazioni giovani e attempate di un certo modo di far musica. Gli Iron sbarcano negli stadi e nei festival europei, radunando decine di migliaia di spettatori in delirio. La data al Gods Of Metal di Monza ne fu buonissima dimostrazione.
(7, 8, 9) Nel 2003 i Maiden sono sempre on the road. Becchiamo Nicko McBrain vicino a Pavia ad aprile in una delle sue leggendarie clinic (seguite dallo show con la cover band di turno). Quindi la band parte con delle date a caso estive per farsi i festival e qualche palazzetto, per poi tornare in autunno supportando “Dance Of Death”. Quell’anno li vidi in 3 contesti diversi: Imola, Parigi e Milano. Nel primo caso si parla di una delle edizioni dell’Heineken Jammin’ Festival più memorabili (e calde) di sempre. In line-up anche Metallica e Bon Jovi come altri headliner. I Maiden chiusero la manifestazione con una setlist da best-of eccellente. La cosa ci piacque a tal punto che andammo pochi giorni dopo anche a Parigi, a goderceli in un palazzetto e a far a botte per tutta la durata del set. A ottobre invece si tornò al Forum di Assago, strapieno ma non sold-out, per una serata più standard e dedicata al nuovo disco.
(10) Nel 2005 inizia la strepitosa celebrazione del passato dei Maiden. L’Eddie Rips Up The World proponeva una setlist basata sui primi quattro dischi della band. Ancora oggi mi maledico per aver seguito solamente una data di questo tour spaziale (Gods Of Metal a Bologna), tuttavia questa fu anche la prima volta in cui riuscii con le dritte giuste a beccare la band al completo e farmi autografare il vinile di “Live After Death”. Dici poco.
(11, 12) Nel 2006 c’è un’altra svolta nei live della band. L’uscita di “A Matter Of Life And Death” vede i Maiden suonare l’intero album nel tour invernale, quindi nell’anno successivo per le date estive la scaletta torna a essere un pelo più omogenea. Gli Iron fanno tutto esaurito al Forum di Assago per due sere di fila. Nasce qui, durante la prima serata, il famoso oleee ole ole ole oleee maideeen maideeen da due minuti che sconvolge Bruce e la band intera, letteralmente senza parole sullo stage a godersi l’affetto dei fan in delirio. L’anno successivo lo spettacolo si svolge all’Heineken di San Giuliano, in quello che sarà a conti fatti l’unica giornata di evento, visto il mega tornado che spazzerà via tutto la mattina seguente. In quest’occasione assaggiamo sulla nostra pelle l’inflessibilità del management dei Maiden. Da buoni imboscati accreditati, proviamo ad avvicinarli ma, manco fossero Madonna o Beyoncé, il loro staff chiude tutta l’area del backstage impedendo addirittura di avviarsi al main stage prima che loro siano saliti sul palco. Ora è una cosa normale, ma allora non capivamo e tutto questo ci diede parecchio fastidio e ce li fece percepire per la prima volta in assoluto come rockstar menosette (nulla di più falso, ma tant’è…).
(13) Nel 2008 si ritorna a parlare di celebrazioni del passato. Il Somewhere Back In Time è un altro di quegli eventi che rimangono nella memoria collettiva. Come 3 anni prima, i Maiden suonano al Gods a Bologna, radunando 30mila persone nel catino del Parco Nord. Il concerto è, tanto per cambiare, clamoroso, e quei fuochi d’artificio durante “The Rime Of The Ancient Mariner” li abbiamo ancora tutti nel cuore. Nota a margine: per la prima volta dopo anni si risente “Moonchild”, preambolo di ciò che avverrà nel 2013.
(14) Nel 2010 avevamo fondato una società per far crescere Outune. Uno dei flop più incredibili dell’imprenditoria giovanile (circa) contemporanea. Tutto questo però ci aiutò nell’organizzare trasferte al limite del folle, tra cui quella al Sonisphere di Knebworth. Per l’occasione strappammo una delle due interviste pubblicate poi su Outune ai Maiden in questi anni, per promozionare (tra le altre cose) la data italiana di Codroipo che si sarebbe svolta circa quindici giorni dopo quella inglese. Il concerto a dire il vero fu una discreta sciarpa ai maroni. Scaletta dedicata alle produzioni post 2000 con pochissime eccezioni.
(15) Nel 2011 il tour è quello di supporto a “The Final Frontier” (pubblicato oramai da quasi un anno) e la data che seguo è quella di Basilea. C’è fortunatamente qualche classicone in più in scaletta e lo show passa senza grossi sbadigli. Prima di loro avevamo intervistato il figlio di Bruce insieme alla sua band di falliti Rise To Remain (che a me piacevano pure tra l’altro, credo di esser l’unico in Italia ad averli apprezzati), con tanto di onori di casa fatti alla stampa dal paparino ben più celebre. In Italia la tappa sarà Imola, ma non riesco fisicamente a esserci causa stanchezza da vecchiaia oramai inevitabile.
(16) Nel 2013 Steve Harris viene in Italia col suo (osceno) progetto solista British Lion. Lo seguiamo al Live Club solo perché volevamo portare a casa un’altra intervista, anche se sciropparsi il noiosissimo concerto fu un’impresa disumana (noi a dire il vero eravamo a cenare al ristorante del Live Club in terrazza come dei buoni e fintissimi pascià). Dopo qualche mese parte la celebrazione di Maiden England ’88, una delle vhs più consumate della mia vita. Il concerto di Rho vede in scaletta “The Prisoner”, ma manca purtroppo “Infinite Dreams”. Ci si consola con “Seventh Son Of A Seventh Son” e con una “Afraid To Shoot Strangers” che non c’entra un cazzo, a dire il vero, ma che ci godiamo volentieri. La band tuttavia suona bene, ma non esalta beccando qualche pezza qua e là. Ricordo che tra amici ci scannammo sul report di questa data. Fortunatamente l’anno successivo nessuno ebbe niente da ridire.
(17) Nel 2014 il tour celebrativo continua, e il Parco Nord di Bologna ospita nuovamente i Maiden all’interno di Rock In Idro. Il concerto è identico a quello dell’anno prima quasi in tutto, la band però è dannatamente on fire, e tira fuori una performance assolutamente galattica. Se ci aggiungiamo un pasto consumato con Adrian Smith (che come sanno i ben informati mangia spesso ai catering dei festival e si aggira in mezzo ai comuni mortali dietro le quinte senza menarsela) e un saluto veloce a Nicko e Dave Murray con paglia in bocca nel backstage, abbiamo la fotografia di una serata da ricordare.
(18, 19, 20) Eccoci ai giorni nostri. Per vari motivi lavorativi (ma anche privati), decido di seguire il mini tour italiano dei Maiden a Milano, Roma e Trieste, facendo tre date esattamente come successe più di vent’anni prima. Trovo una band ancora più carica rispetto a due anni prima. Una band che nel 2015 ha rischiato di dover fare a meno di Bruce Dickinson, impegnato a sconfiggere un cancro prima che il gruppo pubblicasse l’ennesimo album nuovo in studio. Album che va talmente bene da ottenere il Disco d’Oro in Italia e da finire in setlist con ben 6 brani (48 minuti circa in tutto su 110 di concerti, mannaggia a loro). La sorpresa è (a parte Janick Gers che camuffato con berretto di lana e reflex al collo entra nel locale di Trieste dove stiamo mangiando noi nel pomeriggio, per fuggire subito dopo esser stato almeno costretto a salutare) che il pubblico si gasa ovviamente con i classici, ma va fuori di testa anche su TUTTI i pezzi nuovi. Cosa che non accadeva con “The Final Frontier” e tanto meno con “A Matter Of Life And Death”. I Maiden raccolgono quasi 45mila fan in 3 date, si gasano e si divertono coi pupazzoni giganti di Eddie come forse mai fatto negli anni Ottanta.
Ora, nel giro di un paio d’anni, mi aspetto il tour celebrativo di Donington ’92, poi un altro disco nuovo e (prima o poi arriverà, mettiamoci il cuore in pace) un tour di addio di due anni circa, quando i Nostri staranno per toccare quota 70 anni. Non so se nel frattempo riuscirò a incrementare numericamente il mio bottino. So solo che durante “Wasted Years” a Trieste ho pianto. Pensando sia al mio piccolo di quasi 4 anni (che un giorno spero ovviamente di portare a un loro concerto!), sia a quanto questa band (e il Metal in generale) mi abbia cambiato la vita molti anni fa e quanto continui a sostenermi e ad accompagnarmi giorno dopo giorno. E queste emozioni che ancora provo dopo tutti questi show sono il miglior regalo che i vecchietti là sul palco potevano farmi per festeggiare le mie prime 20 volte con loro. Up The Irons!
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