Ad un anno dal memorabile concerto al Lapsus di Torino, Jack Savoretti torna nel capoluogo piemontese per il tour di supporto al suo quarto album in studio, “Written In Scars“. Questa volta per contenere il crescente pubblico di Jack è stato necessario spostarsi in quel club che è il punto di riferimento dei live in città: l’Hiroshima Mon Amour.
Ovviamente, come in tutte le altre date del tour, locale pieno come un uovo e ad alta concentrazione di estrogeni. Il nostro quasi-connazionale piace tanto per la sua musica, ma non è un mistero lo scompenso ormonale che provoca nella fetta femminile del suo pubblico, con quel fascino un po’ alla Brandon Boyd. Ma il successo che Jack sta riscuotendo in Italia va ben oltre, è trasversale perché ha caratteri socio-culturali molto particolari e probabilmente inattesi. Lui stesso, infatti, sembra stupirsi ogni volta: “grazie Torino per essere venuti così numerosi! Mi dicevano che in Italia non sarei riuscito a far più di 50-100 persone senza fare qualcosa di strano. E invece…” – a seguire una bella pernacchia. Però è vero, è insolito che senza almeno un singolo pieno di steroidi un artista riesca a suscitare tutto questo interesse in così poco tempo. Sì, ok, dal vivo è formidabile e le varie apparizioni in radio e in tv sono state importanti nella promozione, ma anche l’attenzione dei media dev’essere attirata da qualcosa.
La verità è che Jack è l’artista straniero che canta in inglese, quindi forte dell’esterofilia che ci accomuna quando si parla di musica, che però è “uno di noi“. Ha origini italiane, parla l’italiano meglio del 70% degli italiani, ma più di tutto è un cuore italiano. Malinconia, simpatia, talento… Ed immaginatelo con un mandolino, mentre mangia la pizza. Al suo pubblico piace parlare con lui, scherzare, fare bisboccia. Tant’è vero che dopo i primi quattro pezzi – tutti estratti da “Written In Scars”, eseguiti ed accolti al meglio – la platea è un po’ stranita di fronta ad un Jack composto e silenzioso, un po’ troppo ingessato. “Parlaci!” è un urlo che sorge spontaneo da qualcuno nelle prime e suscità ilarità nell’artista, che forse aspettava solo questo.
Da lì in poi l’amico di sempre che è in lui viene fuori, portando maggiore scompiglio nei capelli, sporcando un po’ la perfomance fino ad allora troppo dentro gli schemi e restituendo a Torino quel vagabondo che l’aveva conquistata l’anno prima.
La setlist si assesta tra l’ultimo capitolo discografico e il precedente, “Before The Storm”, oscillando tra le ballate cupe, che gli permettono di sfoderare il sabbiato della sua meravigliosa voce, e pezzi un po’ country, un po’ pop, un po’ folk che fanno partire il movimento testa-spalla.
Le botte allo stomaco arrivano poi nell’encore, con una “Changes” accompagnata solo dal pianoforte e la cover di “Ancora Tu” di Battisti (con annessa battuta sul cibo, ormai entrata ufficialmente nei lyrics) che è nata quasi per scherzo ma è diventata la canzone d’amore tra se stesso e l’Italia, la sua amante.
Dopo un’ora e mezza di show, Torino saluta quel ragazzo scapestrato che promette di tornare presto e lo farà. Perché quando è in Italia lui è inglese, quando è in Inghilterra è italiano, e all’estero la nostra nostalgica voglia di rivedere il Paese più bel mondo è innegabile. Un vagabondo come Jack, quanto pensate riesca a resistere?
Fotografie a cura di Andrea Marchetti