La prima data della seconda parte del tour di supporto al nuovo disco “All the lost souls” ha portato l’apprezzato cantautore inglese James Blunt al Palaverde di Villorba (Treviso), nella prima di una serie di date che porterà artisti di caratura nazionale e internazionale (tra i tanti, Negramaro e Oasis) nel palazzetto che ospita la Benetton Basket nei prossimi mesi.
Ad aprire la serata un gruppo 100% british: i londinesi The Bishops, spacciati per indie, ma che in realtà non sono altro che i Beatles catapultati nel 2008. Praticamente dei cloni, se non fosse per delle distorsioni un po’ pesantine a livello solistico: per il resto, dai capelli agli abiti (escludendo il batterista, l’unico “moderno” del trio) e i movimenti sul palco, si respirava anni Sessanta da tutti i pori. Molto tempo a loro disposizione (circa 40 minuti), nei quali la band propone una serie di brani pescati dal loro debutto omonimo. Uno show che ha divertito e fatto ballare i presenti, i quali, molto probabilmente, non conoscevano questa band prima di questa serata.
Mezz’ora di cambio palco e sale on stage la stella della serata, il britannico James Blunt che, con il suo mix di folk, rock acustico e pop, ha ottenuto un successo inaspettato negli ultimi anni, anche grazie al fatto che molti spot pubblicitari hanno utilizzato suoi brani come colonna sonora. Per il sottoscritto, abituato a ben altri contesti (club microscopici, palchi striminziti con luci quasi inesistenti), l’impatto con lo spettacolo portato dietro dal noto artista è impressionante: palco enorme, due maxischermi, gioco di luci (e laser, per alcuni brani) notevole e, soprattutto, una band di supporto formata da musicisti che, pur rubando raramente la scena a mister Blunt, riescono a dimostrarsi musicisti di gran classe, come ad esempio sul finale di “So long, Jimmy”, nel quale sembrava di esser stati catapultati in pieno periodo progressive rock inglese.
Tanti i momenti toccanti della serata, primo di tutti il singolo “High”, cantato da tutti i presenti in preda ad un delirio collettivo, e l’acclamato singolo “Carry you home”, dal recente “All the lost souls”. Preceduto da “Love love love”, unico pezzo inedito della serata, l’apice del concerto: una commovente “No bravery”, con James Blunt accompagnato dal solo pianoforte, durante la quale i maxischermi hanno trasmesso delle immagini tratte da riprese amatoriali fatte durante la guerra in Kosovo, vissuta in prima persona dall’artista. Tre brani (nello specifico “Coz I luv you”, “I’ll take everything”, “Goodbye my lover”), inoltre, verranno suonati da James Blunt su un piccolo palco secondario in zona mixer. Per passare su questo palco-piattaforma rialzata, al centro dell’arena, nessuna passarella: l’artista si tuffa letteralmente tra il pubblico e raggiunge la sua nuova posizione salutando i suoi fan, stringendo le loro mani, osannato e acclamato da tutti i presenti, anche dagli “sfortunati” presenti sulle gradinate. Tutto questo è la conferma del talento come frontman di Blunt: saluta i fan dal palco, si mette in posa per le foto, molto spesso lascia cantare i presenti come, ad esempio, su “You’re beautiful”, forse la sua canzone più famosa. Sul resto della scaletta non si possono sollevare critiche: tutti i singoli sono stati proposti, e nelle quasi due ore di concerto sono pochissime le canzoni dei primi due album escluse dalla scaletta.
Un’affluenza buona ma non eccezionale (gremite le gradinate, parterre pieno a metà), ha poi salutato l’artista sulle note di “1973”, caratterizzata da una coreografia di luci e laser e dal lancio dei “confetti” a fine concerto. Il giusto epilogo di un concerto che ha confermato il talento di questo poliedrico (e polistrumentista) artista e che difficilmente i presenti dimenticheranno.
Setlist: Breathe, Wise men, Billy, High, I really want you, Carry you home, Love love love, No bravery, Give me some love, Shine on, Out of my mind, Coz I luv you, I’ll take everything, Goodbye my lover, Turn me on, You’re beautiful, Same mistake, One of the brightest stars, So long Jimmy, 1973
Nicola Lucchetta