Joe Jackson, il report del concerto a Bologna del 5 marzo 2016

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Mr. Joe Jackson è arrivato a Bologna con il suo carico di classe, eleganza, verve e humour musicale. Sabato 5 marzo 2016, in un Auditorium Manzoni affollato, un concerto memorabile, ricco di soul, ritmo e cambi di direzione improvvisa, come è nello stile onnivoro del nostro. L’omone allampanato e albino arriva sul palco da solo, si siede al piano e attacca “It’s Different for Girls”. È già magia.

Sono il numero di apertura“, si presenta. “La band arriva dopo“. Risate e applausi. Poi “Hometown” e la languida “Be my number two”. In forma, il ragazzo. “Stasera faremo qualche pezzo dal nuovo album, un po’ di roba vecchia e un paio di cover“, annuncia lui. La prima è “Girl”, di un certo John Lennon. “È un pezzo con cui ho cominciato, suonando nei piano bar a sedici anni“. Un buon modo di iniziare. E poi “Fast Forward”, che dà il titolo all’album, un viaggio avanti e indietro nel tempo. Lo raggiunge sul palco il fido bassista Graham Maby, vera colonna sonora e insieme intonano “Is She Really Goin’out With Him?”, canzone d’amore disilluso. E sul palco arrivano anche il chitarrista Teddy Krumpel e il batterista Doug Yowell per una versione potente di “Real Men” che si stempera nel funky irresistibile di “You Can’t Get What You Want”.

Sale immediata la voglia di andare a riascoltarsi per intero “Night and Day”(1982) e “Body and Soul” (1984), dischi da cui i due brani rispettivamente provengono. È come il sampler di un astuto venditore. Ma Joe vende roba buona, buonissima. In rapida sequenza due ballad come “Bittersweet” e “Poor Things”, poi le scansioni afrocubano-nipponiche di “Another World” liberano tutta l’efficacia della band. E qui cominciano un po’ i guai, perché la batteria potente, non adeguatamente isolata, copre la voce duttile di JJ, e il suono si impasta. Ma la folla del Manzoni non sembra farci caso, accompagna ogni brano con boati, sulle balconate c’è gente che balla. E soprattutto molti sorridono, perché questa è una musica intelligente e felice, che scalda il cuore e fa muovere i piedi, ricca di ritmo, swing e passione, con sprazzi di autentica poesia. Jackson scherza volentieri con il pubblico, parla delle sue canzoni, gioca con la band a partenze improvvise e stop da foto ricordo.

La seconda cover della serata è un tributo a David Bowie (boato), una versione personalissima di “Scary Monsters” che il Duca avrà sicuramente apprezzato, dalla sua stella nera. “Sunday Papers”, punk-reggae potentissimo (andate a sentire l’originale su “Look Sharp”, 1979), con un testo di acida ironia sul giornalismo spazzatura, fa scattare dalle sedie. E ancora “Keep on Dreamin'” magnifica e scintillante cavalcata newyorkese, che mescola le spezie musicali dell’ ultimo album inciso tra Grande Mela, Berlino, Amsterdam e New Orleans, con ritmiche scattanti.

Una “Steppin ‘Out” rallentata e trasformata in accorata torch song prelude alla saltellante “On Your Radio”. Peccato, davvero, per quei suoni, in un teatro così bello, in una notte così magica. Si chiude con la stupenda “Slow Song”, sempre dal capolavoro “Night and Day”, invito al dj a “mettere un lento” per concludere la serata. Non ci sarà bis, è giusto finire così. Ed è un’ulteriore prova della grandezza di Joe Jackson.

Cover story: Mathias Marchioni

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