John Abercrombie Quartet – Blue Note, Milano 20 settembre 2008

 

Esistono bravi strumentisti, in grande quantità, ed esistono stilisti che sublimano le esperienze di una vita in un linguaggio che non è soltanto destrezza, ma espressione inconfondibilmente personale e subito riconoscibile della propria sensibilità musicale. Il chitarrista newyorkese John Abercrombie, classe 1944, appartiene a questa seconda categoria. Attivo sin dalla fine degli anni ‘60, nel decennio successivo ha avvicinato il jazz alle sonorità rock con  Jan Hammer, Billy Cobham e Michael Brecker, collaborando con Jack DeJohnette e Dave Holland nel trio Gateway, con Gil Evans, Peter Erskine ed Enrico Rava in formazioni più marcatamente jazzistiche.

Ad accompagnare Abercrombie nel concerto del 20 settembre troviamo la formazione stabile del suo ultimo quartetto, il cui più recente lavoro, “The third quartet”,  è uscito nel 2007 per ECM : Joey Baron, versatile musicista, alla batteria, Mark Feldman al violino e Thomas Morgan al contrabbasso in sostituzione di Mark Johnson, bassista originale del gruppo.

La musica è subito magnetica, complice la scrittura sempre ricca di melodie e molto varia nei registri: temi misteriosi ed intriganti come “Banshee” e “Number 9” si alternano ad altri momenti più jazzistici e ritmati, come “Round trip” (tributo ad Ornette Coleman), “Class trip” ed il tre quarti di “Tres”; bellissima e molto malinconica la ballad “Vingt six”, introdotta in duo da chitarra e violino in un’atmosfera nebbiosa e rarefatta. Speciale menzione merita un altro tributo, questa volta al grande pianista Bill Evans, che i nostri propongono eseguendo una partecipata versione di “Epilogue”, delicato tema pentatonico dal sapore un poco orientale. John Abercrombie sa essere anche compositore divertente ed ironico, molti temi sono giochi ritmici caratterizzati da melodie spigolose, con inserti inaspettati come marcette o improvvisi accelerando e diminuendo.

Il linguaggio del chitarrista appare, come il timbro del suo strumento, maturo ed essenziale, le improvvisazioni sono meditate e guidate dalla melodia, grande è l’interplay ritmico con il sempre inventivo e propulsivo batterista; Mark Feldman occupa con il suo virtuosismo di violinista il posto solitamente di  uno strumento a fiato, e la sonorità che ne deriva (anche se non nuova, violinisti come Joe Venuti e Stephane Grappelli sono due illustri precedenti nel jazz) è particolare e rende l’impasto con la chitarra ed il contrabbasso molto intrigante, adatto sia a momenti lirici che a situazioni più “hot”.

Abercrombie, Baron, Feldman e Morgan sono ecccellenti strumentisti, forti di un linguaggio legato alla tradizione ma teso verso una ricerca più fresca e moderna, ed alcuni dei migliori momenti del concerto si sono sviluppati sul confine sottile dell’interplay tra i musicisti che, suggerendosi a vicenda, hanno finito per suonare ciascuno come solista ed accompagnatore nello stesso momento, portando quattro individualità a fluire collettivamente nella Musica.

Stefano Zecca

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