John De Leo – Milano, 16 gennaio 2015

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“Il Grande Abarasse” è senza ombra di dubbio un gran bell’album e il concerto di John De Leo di venerdì 16 gennaio 2015 alla Salumeria della Musica di Milano non ha certo deluso le aspettative. Un’ora e mezza di musica in grado di restituire tutta la portata di un lavoro, che ricompone, attraverso il concept dell’ambientazione condominiale, l’intricato universo musicale dell’artista – «una sorta di labirintica Babele impossibile», direbbe De Leo -, nonché la dolceamara follia che vi alberga, inscatolata tra gli interni dell’edificio.

Accompagnato sul palco dalla sua Grande Abarasse Orchestra, combo sperimentale di 8 elementi composta da Dimitri Sillato (violino e pianoforte), Valeria Sturba (violino, violino elettrico e theremin), Paolo Baldani (violoncello) , Beppe Scardino e Piero Bittolo Bon (clarinetto basso e sax baritono), Fabrizio Tarroni (chitarra semi-acustica), Franco Naddei (manipolazione del suono e chitarra elettrica) e Silvia Valtieri (fisarmonica, pianoforte e percussioni giocattolo), De Leo fa il suo ingresso su una strepitosa intro strumentale. I presupposti per il decollo del live ci sarebbero già tutti, ma De Leo opta per la presentazione dei musicisti: parrebbe un’interruzione inopinata, ma invece funziona, perché lega palco e platea in un filo di comunicazione diretta e perché alla fine lui è Eros Ramazzotti e lo sarà per tutto il concerto, fino ai saluti finali e forse, chissà, anche dopo.
Si riparte con la scanzonata ironia de “Il Gatto Persiano – Theme” e con le mille voci di De Leo che si fondono col suono dell’Orchestra. La Salumeria della Musica a questo punto è una bolla che viaggia fuori dallo spazio-tempo, pronta alla detonazione, ma soprattutto al «sound romagnolo» de “La Mazurka del Misantropo”, che tra un’esplosione e una citazione di “Nel Blu Dipinto di Blu”, traghetta leggiadra il pubblico verso la fase più scura dello show introdotta da “Io non ha senso”. La sequenza dei brani è quella dell’album e l’esecuzione della strumentale “Primo Moto Ventoso”, poesia per archi e theremin, seguita dall’improvvisazione per voce sola, sul cui finale entra la combo strumentale, da sole potrebbero fare il concerto.
Ma c’è di più, perché lo spettacolo regala ancora le suggestioni Sufi e il groove di “Apocalissi Mantra Blues”, la paranoica “50 Euro (Trappo_Lounge)”, “The Other Side Of A Shadow”, pezzo che nel disco vede la partecipazione di Uri Cane, e “Di Noi Uno (Bond Of Union)” prima della chiusura con “Muto (come un pesce rosso)”. Il pezzo è il più rock dell’album e il sound dell’Orchestra, che John, con abile trovata, dopo l’esplosione contenuta nel brano lascia sola sul palco per andare a vedere cosa è successo, ricorda molto quello dei King Crimson di “Islands”, un piacere elevato all’ennesima potenza dal ritorno di De Leo, che si butta nella mischia portandoci una succosissima parte vocale.

Il bis, infine, lascia spazio a due pezzi tratti da “Vago Svanendo”: “Canzo”, folle scat accompagnato dai due sax baritono e “Spiega la Vela”, brano dal sapore contiano, ma che De Leo porta presto in un territorio ben diverso lanciandosi, come nell’originale, in un solo vocale di rara bravura. Vederlo all’opera è impressionante, riesce a fare sembrare semplice e naturale ciò che non lo è assolutamente e a portare la voce ora sopra, ora dentro l’ordito strumentale, protagonista, ma mai invasivo. Rientrata l’Orchestra, c’è ancora spazio per una rivisitazione super groove di “Apocalissi Mantra Blues”, ultimo atto di un concerto, come c’era da aspettarsi di grande spessore.

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