Come studentessa al conservatorio Verdi per otto anni della mia vita e come assidua frequentatrice dei concerti della Società del Quartetto posso dire in tutta onestà che così pieno, quel chiostro, non l’avevo mai visto. Avevo visto file alla biglietteria che tagliavano il cortile in due parti, le sedie della Sala Verdi quasi tutte occupate durante entrambi gli stupendi live che gli Eels ci hanno regalato negli ultimi anni…
…ma il serpente di gente che si attorcigliava per tre volte intorno ai portici per poi fare capolino sul sagrato di S.Maria della Passione è andato al di là di ogni più rosea previsione.
Bene per gli organizzatori, bene per i presenti, bene senza dubbio per Erlend ed Eirik, ma qualche dubbio, a vedere il variopinto (grazie al revival dei colori fluo nel mondo dell’alternativo medio) ed estremamente modaiolo pubblico presente in sala questa sera, non può non affacciarsi nella mia mente. Tutta questa gente ai Kings Of Convenience non mi sembra infatti altro che l’ennesima manifestazione del crescente interessamento del fighetto medio milanese nei confronti di ciò che sia anche solo vagamente indie, malattia che ha come effetti collaterali l’amore per le sottili bici a scatto fisso di colori sgargianti, le macchine reflex digitali e le camicette a quadri, un interessamento puramente superficiale, utile per apparire un po’ più colti e snob, per sentirsi “artisti”, ma comunque tristemente vissuto con lo spirito del ce l’ho, ce l’ho, manca, di un collezionista di figurine. Ma passiamo al concerto.
Il duo di Bergen sceglie come entrata My Ship Isn’t Pretty, uno dei brani più descrittivi ed intimistici del nuovo Declaration Of Dipendence, mostrando subito le sue indubbie qualità, una fra tutte l’armonia perfetta delle voci, talmente vicine da risultare a volte indistinguibili l’una dall’altra. Spesso effettivamente ho pensato ai Kings Of Convenience come ad una coppia di gemelli siamesi fusi per la voce invece che per la testa o per il torace, gemelli in assoluta telepatia fra loro, magari con Erlend a giocare la parte del ragazzino squinternato e spigliato ed Eirik quella dell’amante del silenzio e delle ombre: questo dualismo, sul palco è quanto mai evidente.
Erlend scherza col pubblico, ad un certo punto esorta quelli delle ultime file ad occupare i posti davanti riservati a giornalisti e sponsor e rimasti poi vuoti, balla sul palco chiedendo dal pubblico non un semplice battimani, ma un più jazzy schioccare delle dita e ad un certo punto intona anche Bella Notte, direttamente da Lilli e Il Vagabondo, tutto questo mentre Eirik fa il “lavoro sporco”, tesse melodie, rimane in silenzio.
24/25, secondo brano in scaletta, è fatto della stessa pasta del primo, stessa atmosfera e stessa tensione emotiva di fondo, la qualità che ho sempre preferito in questo gruppo, rispetto all’attitudine bossa-nova che ne è il contraltare più evidente. Purtroppo, però, la scaletta vira poi verso lidi tropicali dividendo il concerto in due tranche, di cui una più autunnale, intima ed inquietante, con solo Erlend ed Eirik sul palco, e l’altra di un acustico quasi danzereccio, riempito e ravvivato dall’entrata di un violino (decisivo negli arrangiamenti) e di un contrabbasso (molto meno decisivo ma suonato dall’italo norvegese Davide Bertolini, produttore di Declaration Of Dependence). Gli archi si uniscono al duo per Peacetime Resistance e Mrs Cold, ma rimangono poi sul palco fino alla fine del concerto, riempiendo ed alleggerendo gradualmente l’atmosfera fino a sfociare nella conclusiva I’d Rather Dance With You, ultima dei bis dopo Cayman Islands e Renegade, durante la quale il primo ballerino Erlend si lancia in una danza volutamente ed ironicamente sgraziata che
contagia mezza platea.
In tutto questo c’è spazio, molto, per Riot On An Empty Street, sicuramente ancora il traino delle esibizioni del duo di Bergen, e rappresentato dalla bellissima Homesick, sempre all’altezza delle aspettative, dal singolo Misread e da Know-How orfana della voce di Feist, sostituita dal pubblico che canta a pieni polmoni, con tanto di predominanza delle voci femminili. Quiet Is The New Loud fa capolino poco e nulla, fra I Don’t Know What I Can Save You From e Toxic Girl, ancora una volta due estremi di un duo che rimane incredibilmente coeso ma allo stesso tempo ha da sempre un piede nella scarpa delle melodie ricercate ed intense ed un altro nella voglia di ballare e fare ballare: il piede di Eirik ed il piede di Erlend.
Francesca Stella Riva