Prima che Ligabue lasci la Penisola per approdare in America, allo Stadio Olimpico di Torino va in scena una delle ultime tre tappe del Mondovisione Tour 2014. Lo show che il 9 settembre 2014 ha toccato il capoluogo piemontese è confezionato in maniera splendida, grazie ad una scaletta sapientemente ricca di brani storici, da sing-along coatto, e ad un palco da far invidia alle strutture dei tour mondiali di artisti dal raggio ben più ampio. Ma anche se si esclude tutto ciò che sta intorno, e che solitamente è solo fumo negli occhi, l’essenzialità che rimane è ciò che permette a quello che è uno dei nostri cantautori più rappresentativi di vincere ancora. Perchè l’abbiamo capito tutti che Ligabue è tanto amato proprio per il suo essere uno-di-noi. Sempre al posto giusto, mai fuori luogo, sempre pronto a sfornare singoli da predominio radiofonico, ma anche attento a comunicare qualcosa di sè, talvolta banale, talvolta ricercato. Tutto questo si riflette anche dal vivo, senza eccessi ma con la volontà di comunicare con la platea, raccontando aneddoti come nell’intro della bella “Bambolina e barracuda”, o anche solo abusando della parola “cazzo” per non sembrare troppo bravo ragazzo rispetto alla concorrenza. Poco importa che l’intro di “Happy Hour” sia un plagio, poco importa che circa l’80% dei suoi fan non sappia che “A che ora è la fine del mondo?” è una semi-cover dei R.E.M., e che di questi almeno il 60% non sappia nemmeno chi siano i R.E.M.. La verità è che Ligabue fa parte del nostro pacchetto, le sue canzoni le conosciamo tutti, e dal vivo c’è da divertisti e cantare. E magari accendere qualche accendino o limonare, su brani come “Piccola stella senza cielo”.
Un dettaglio piuttosto irritante degli show di Luciano nostro è invece l’eterna presenza della sua chitarra. Perché, pur avendola sempre addosso, Ligabue proprio non la suona. Sta lì, è sempre lì. Addirittura ogni tanto si vedono le dita assumere la posizione di uno dei suoi (quattro) accordi per poi arrendersi poco prima di incontrare le corde, per permettergli di sfoggiare le solite braccia aperte con i palmi delle mani rivolti verso il cielo, in una sorta di posa da Padre Nostro. Non che ci si aspetti che il rocker emiliano tolga lavoro al bravissimo Federico Poggipollini, talentuoso chitarrista nonchè miglior elemento dell’ottima band al suo servizio, però almeno che non usi lo strumento come accessorio.
E poi il vero peccato è che la parte di concerto che Liga preferisce sia quel “momento karaoke” che lascia alla platea il compito di intonare alcuni brani non necessariamente scontati, per un medley un po’ sprecato. D’accordo che sta per mettere piede nel Nuovo Mondo, e che da quelle parti molte rockstar hanno il passaggio di microfono facile, solo che l’idea che per molti presenti quegli snippet siano surrogati delle loro canzoni preferite può essere un po’ demotivante. Eppure in fondo, se ad ogni singolo live di Ligabue si registra un sold out e annesso pubblico in festa, vuol dire che funziona tutto, e anche bene. E auguriamo al nostro amato connazionale di trovare la stessa fortuna anche oltreoceano e che anche per lui il meglio debba ancora venire.
Foto a cura di Alessandro Bosio