Non c’è proprio nulla da fare: i festival sono le cose che più amo nel mondo dopo la pizza e Jack White. E non solo perché sono una scusa più o meno assicurata per bivaccare in mezzo a gente più giovane e disinibita, sia chiaro. La verità è che sono un inguaribile romantico e vedere così tante persone unite dalla e per la musica mi risolleva dalle giornate passate ad urlare contro i pessimi suggerimenti di Spotify. Ed è esattamente questo che mi ha trasmesso la serata di ieri al parco della Certosa di Collegno (TO), che da ormai più di una settimana ospita gli artisti del Flowers Festival.
Ma andiamo con ordine. La consueta atmosfera di warm-up che preannuncia ogni concerto che si rispetti viene interrotta dai bassi prepotenti dei Magellano, progetto elettronico di Pernazza (che alcuni di voi ricorderanno nel ruolo del coniglio al Chiambretti Night) e Filo Q che subito mettono in chiaro una cosa: non amano Miley Cyrus. Mentre ballano cercano di dimostrare (con successo) che possono twerkare meglio di lei. Le basi fanno saltare il pubblico, ricreando quell’atmosfera rave-rap che nel panorama internazionale si può accostare a nomi del calibro dei Die Antwoord. I testi sono hardcore, come ci tengono a specificare prima del gran finale, ma la scaletta ha anche spazio per un paio di pezzi nostalgici che parlano di valori affettivi e terre liguri. E il tutto si chiude con entrambi che ringraziano Torino, ringraziano Garrincha Dischi e lasciano lo spazio ai colleghi di casa discografica, fra gli applausi generali. Applausi che riprendono quando Mattia Barro, cantante de L’Orso, sale sul palco con band al seguito.
L’impatto sonoro è fin da subito serratissimo, con i classici della loro discografia che fanno muovere fan e non. È il caso di “Con i Chilometri Contro” e “Giorni Migliori”, singolo di recente pubblicazione. Il pubblico salta, la band corre sul palco ed è tutto un movimento che diventa un ondeggiare assorto su pezzi come “Ottobre Come Settembre” e “Ti Augurerei Il Male”. E come tutte le cose che iniziano e sono belle senza un preavviso, nello stesso modo repentino lo show si chiude sulle note di “Come Uno Shoegazer”, con la band che lascia cantare noi del pubblico, si avvicina e ringrazia come se ci si conoscesse tutti da abbastanza tempo per poter sentire la reciproca mancanza. Ed è così nei dieci minuti in cui il palco rimane vuoto.
Per fortuna la band in chiusura della serata è in grado di riempire il vuoto nel migliore dei modi. Perché dal momento esatto in cui salgono sul palco, i membri de Lo Stato Sociale ci tirano su il morale dicendo che “La Felicità Non È Una Truffa”. La formazione come sempre è compatta, ogni membro del gruppo recita la propria parte in modo magistrale, quasi si fosse improvvisamente più in un teatro di quelli cari a Lodo che non su uno stage da concerto. E in tutta questa sprizzante euforia si toccano i temi scottanti della nostra società, in una scaletta che in ordine ha pezzi come “Piccoli Incendiari Non Crescono”, “Sono Così Indie” e “Forse Più Tardi Un Mango Adesso”, in cui viene regalato un ananas alla band. E non si tratta di un momento di goliardica interazione isolata visto che Lodo canterà “Quello Che Le Donne Dicono” indossando un reggiseno lanciato da una fan. La perenne interazione fra le due parti è il collante della serata che, fra gli aneddoti di Lodo, gli interventi sul palco di Mattia Barro, Pernazza e gli Eugenio In Via Di Gioia, si conclude con “Cromosomi”, accolta da una pioggia di coriandoli sparati da un cannone. Ennesima prova del fatto che la musica è decisamente bella ma “non è una cosa seria”.
Fotografie a cura di Andrea Marchetti.