Non ho mai seguito più di tanto il jazz, ho sempre avuto molti pregiudizi. Musica da vecchi, pensavo.
Ieri sera però all’Umbria Jazz, il festival jazzistico che ha luogo annualmente a Perugia, ho cambiato idea, e mi sono bastati 30 secondi. Già dal primo pomeriggio girando per la città si respirava un’aria piacevole. Per tutta la settimana Perugia vive di musica, si nutre e fa nutrire tutti. La maggior parte dei locali rimangono aperti fino a tardi e la musica live la fa da padrona.
All’Arena Santa Giuliana, Marcus Miller ha portato il suo ultimo lavoro “Afrodeezia”, importante per i significati sociali che veicola. Si tratta di un viaggio musicale lungo le rotte dolorose e drammatiche della schiavitù, alla riscoperta di ritmi e melodie che gli schiavi africani portarono verso il nuovo mondo e che sono alla base della musica, in particolare la musica jazz.
L’arena era piena di gente di tutte le età. C’era chi ballava, chi si limitava ad ondeggiare la testa e chi batteva le mani più o meno a tempo. Per un’ora e mezza i presenti, me compreso, si sono lasciati andare dimenticandosi del vento freddo che investiva la serata perugina.
Finito il concerto mi sono sentito notevolmente disinformato, mi mancava una parte di mondo. Sono stato letteralmente rapito dal modo di suonare il basso di Marcus Miller. Inoltre, fatto curioso per questi tempi, durante tutto il concerto, la gente non era col telefono in mano a “sparaflashare” a mo’ di Men In Black il palco.
Sta a vedere che nel 2016 si riesce ancora a seguire un live senza avere il telefono in mano costantemente.
Piccola polemica a parte di un giovane fuori ma vecchio dentro, sul palco Marcus Miller è una forza della natura, instancabile e generoso. Il concerto è stato divertente ed esaltante tecnicamente. Che dire, l’unico “vecchio” sono sempre stato io.